LE ASSENZE PER MALATTIA DEL PERSONALE DOCENTE E ATA

 

 

 

NOZIONE DI MALATTIA          (torna all'indice)

Le esigenze di tutela della salute, quale bene primario di ciascun individuo, sono in generale enunciate nell'art. 32 della Costituzione e con specifico riguardo ai lavoratori nell'art. 38 della stessa. Tuttavia in nessuna disposizione di legge è espressamente definito il concetto di malattia. L'elaborazione di tale nozione, nell'ambito specifico del diritto del lavoro, è operata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che giungono a qualificare la malattia (c.d. generica o comune) quale stato patologico che determina una condizione di incapacità allo svolgimento delle specifiche mansioni attribuite al lavoratore.

La malattia si caratterizza quale concreta incapacità lavorativa, rapportata cioè al tipo di prestazione che il lavoratore deve espletare. Inoltre essa deve essere attuale, ossia deve consistere in una manifestazione concreta, non meramente ipotetica o potenziale.

Dunque, non qualsiasi forma di infermità rappresenta un motivo giuridicamente rilevante che legittima ad astenersi dal lavoro e ad usufruire delle relative garanzie, ma solo quelle infermità dalle quali discende un impedimento assoluto all'effettuazione della prestazione lavorativa contrattualmente stabilita. Detto impedimento, inoltre, dovrà essere verificato secondo specifiche modalità.Il concetto di malattia comprende anche il periodo necessario alla guarigione e quello occorrente allo svolgimento di cure e terapie che non consentono l'espletamento della prestazione lavorativa.

Oltre alla delineata nozione di malattia in senso stretto assumono giuridica rilevanza, una serie di casi ulteriori, che vengono equiparati alla malattia, sebbene diversi dalla stessa, in quanto anch'essi rendono impossibile l'esercizio della prestazione lavorativa, ne sono un esempio:

- i ricoveri giornalieri in luoghi di cura (circolare n. 136 del 27/07/2003, INPS);

- i ricoveri per donazione di organi, per tutto il periodo di degenza e convalescenza (circolare n. 196 del 7/10/1996, INPS);

- gli interventi di chirurgia estetica, solo se ritenuti necessari a rimuovere vizi funzionali connessi ad un difetto estetico;

- i trattamenti di fisiochinesi terapia, solo nel caso in cui risultino funzionali al superamento di specifiche patologie;

- le cure termali come previsto dalla legge 30/12/1991 n. 412, art. 16, laddove indica le tassative condizioni che eccezionalmente consentono al lavoratore di assentarsi dal servizio per la fruizione delle cure anzidette senza l'utilizzo, a tal fine, delle proprie ferie o dei permessi ordinari.

Solo nel caso in cui il lavoratore sia affetto da una patologia che può trovare reale beneficio dalle cure egli può, seguendo la procedura indicata, ricorrere all'istituto dell'assenza dal servizio per malattia, attesa l'esistenza di uno stato patologico (spesso cronico o recidivante) che pur non determinando di per sé una diretta od immediata incapacità lavorativa, tuttavia, rende quest'ultima temporaneamente inesigibile per accertata necessità, assolutamente non posticipabile fino al momento della fruizione delle ferie annuali. Di norma, infatti, le prestazioni termali non possono essere fruite dai lavoratori dipendenti pubblici al di fuori del periodo di ferie1.

La malattia derivante da causa di servizio si caratterizza dal venire contratta nell’esercizio ed a causa dello svolgimento della prestazione lavorativa. Sussiste cioè uno specifico nesso causale che lega l’espletamento della prestazione all’insorgenza dello stato morboso, estraneo invece alla malattia generica. Dunque assume rilievo determinante la prova del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività lavorativa e la malattia stessa. Il d.P.R. n. 461 del 29 ottobre 2001 disciplina le procedure da seguire per il riconoscimento, su istanza del dipendente pubblico, della dipendenza da causa di servizio di infermità e lesioni collegate allo svolgimento del rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione.

L’infortunio si differenzia dalla malattia perchè determinato da una causa violenta, ossia traumatica. Tuttavia, anche dall’infortunio discende l’inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle proprie mansioni. L’infortunio può verificatasi in occasione del lavoro, viene in tal caso denominato infortunio sul lavoro, la cui nozione è contenuta nella legge istitutiva della tutela assicurativa obbligatoria gestita dall’INAIL.

Nella nozione di infortunio sul lavoro è compreso altresì, il c.d. infortunio in itinere, ovvero quello occorso al prestatore di lavoro durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, in quanto connesso, sebbene indirettamente, all’attività lavorativa. L’infortunio sul lavoro è oggetto di specifica tutela assicurativa, delineata dal d.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965 e successive modificazioni.
 


1 Occorre precisare che la normativa che disciplina la fruizione delle cure termali è stata oggetto di diversi interventi legislativi, che ne rendono complessa l'interpretazione. Attualmente trovano applicazione:

- l'art. 13 del d.l. n. 463/1983, convertito con legge 638/1983;

- l'art. 16, comma 5, della legge 412/1991;

- il d.m. 12 agosto 1992, che indica in modo tassativo le patologie per le quali sono ammesse le cure termali;

- l'art. 22, comma 25, della legge 724/1994 (finanziaria 1995) che abroga tutte le disposizioni, anche speciali, che prevedono la possibilità, per i dipendenti pubblici, di essere collocati in congedo straordinario, oppure in aspettativa per infermità, per attendere alle cure termali elioterapiche, climatiche e psammoterapiche;

- la legge 323/2000, che in sede di riordino del settore termale ha sancito il principio per cui le cure termali sono erogate con oneri a carico del SSN limitatamente alle patologie che, sulla base di specifici studi clinici e riscontri obiettivi, possono trarre dalle stesse reale beneficio ai fini sia curativi che riabilitativi.

Dall'interpretazione della normativa attualmente vigente si desume che:

I) in via generale, il lavoratore può sottoporsi alle cure termali solamente nell'ambito del periodo di ferie, ovvero usufruendo dei permessi ordinari riconosciuti dal CCNL;

II) eccezionalmente, il lavoratore può imputare il periodo delle cure termali agli istituti dell'assenza per malattia o della malattia per causa di servizio, con applicazione della relativa disciplina, ricorrendo le specifiche condizioni richieste dalla normativa sopra richiamata.

Con specifico riguardo agli aspetti procedurali, il dipendente che intende avvalersi del diritto alla fruizione di un ciclo di cure termali è tenuto a presentare al proprio datore di lavoro apposita istanza con allegata la certificazione rilasciata dal medico specialista dell'ASL o dall'INAIL (solo in caso di infortunio o di malattia derivante da causa di servizio) indicante:

- l'affezione in atto;

- l'idoneità terapeutica o riabilitativa della cura prescritta;

- che per la risoluzione dell'affezione stessa è giudicato determinante un tempestivo trattamento termale;

- il periodo entro cui tale trattamento va necessariamente effettuato.

La pubblica amministrazione, accertata la regolarità della documentazione e la sussistenza dei requisiti indicati dalla legge, oltre che la sussistenza di motivi ostativi alla fruizione delle cure durante il periodo feriale, ai sensi dell'art. 16, comma 5, della legge n. 412 del 1991, autorizza il dipendente ad assentarsi dal lavoro nel periodo richiesto per effettuare il prescritto ciclo di cure termali precisando che:

- l'assenza a tale titolo va considerata, ad ogni effetto, assenza per malattia, comune o derivante da causa di servizio;

- al rientro in servizio va prodotta idonea certificazione attestante le cure specificamente effettuate.
 


 

EFFETTI DELLA MALATTIA          (torna all'indice)

L’effetto principale che l’insorgere della malattia determina è la sospensione del rapporto di lavoro. La malattia, infatti, costituisce un’ipotesi di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa.

L’assenza del lavoratore durante il periodo di malattia è dunque giustificata, ed il datore di lavoro non può invocare l’inadempimento dell’obbligazione lavorativa.L’art. 2110 del codice civile disciplina alcuni specifici casi di temporanea impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, dai quali discende la sospensione del rapporto di lavoro, non la risoluzione del contratto.

Tra di essi, oltre all’infortunio, alla gravidanza, al puerperio, è prevista anche la malattia del lavoratore. La norma, che costituisce la fonte primaria della disciplina della materia, tutela il lavoratore malato garantendogli in via di principio: 
I) la conservazione del posto di lavoro entro un certo lasso di tempo massimo, definito periodo di comporto; 
II) la percezione della retribuzione o di indennità equivalenti; 
III) la non interruzione della maturazione dell’anzianità di servizio, a tutti gli effetti, dei periodi di assenza per malattia.

Quanto alla specifica definizione delle provvidenze, delle procedure e degli strumenti operativi per mezzo dei quali attuare concretamente tale tutela, l’art. 2110 cc rinvia alla legge e alla contrattazione collettiva.

 

DURATA DELLA MALATTIA          (torna all'indice)

Il periodo di comporto è un periodo di tolleranza dell'assenza del lavoratore dovuta a malattia, durante il quale è garantita la conservazione del posto di lavoro.

Tale garanzia è assicurata dall'ordinamento a salvaguardia del lavoratore, posto dalla malattia in condizioni di precarietà e disagio.Il contratto collettivo nazionale di lavoro, attuando quanto disposto nell'art. 2110 cc, tutela il lavoratore determinando la misura della retribuzione ed il periodo di tempo durante il quale essa è garantita in caso di malattia del lavoratore.

Il contratto collettivo generalmente prevede un comporto 'secco' ed un comporto 'per sommatoria'. Il comporto 'secco' consente al lavoratore di assentarsi per malattia non oltre un certo periodo di giorni consecutivi stabilito dal contratto collettivo, con riferimento cioè ad un unico episodio morboso di lunga durata, che si manifesta con continuità ed ininterrottamente. Il comporto 'per sommatoria' viene invece determinato sommando tutte le assenze che il lavoratore compie nell'arco di un certo lasso di tempo, la durata complessiva delle quali non deve essere superiore al periodo previsto nel contratto collettivo. Precisamente, il comporto 'per sommatoria' concerne una pluralità di malattie ripetute ed intermittenti che, singolarmente considerate, non raggiungono il quantitativo richiesto per il comporto 'secco'.

Quando il periodo di comporto viene superato il datore di lavoro ha diritto di recedere dal contratto. La Cassazione ha ripetutamente sancito che in caso di assenza per malattia il dipendente, al fine di sospendere il periodo di comporto, può chiedere che un periodo di assenza venga imputato ad altro titolo, ad esempio per ferie. Tuttavia, ciò è possibile solo se la conversione precede la scadenza del periodo di comporto.

Il CCNL del 29 novembre 2007 stabilisce specificamente all'art. 17, commi 1 e 2, che il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione di tale periodo si sommano, alle assenze dovute all'ultimo episodio morboso, le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente. Dunque, la durata massima dell'assenza per malattia è stabilita in 18 mesi, sia se fruito in un unico periodo continuativo, sia se frazionato in più periodi nell'arco del triennio precedente l'ultimo evento morboso.

Durante il normale periodo di comporto l'amministrazione è obbligata solo a sottoporre il dipendente a visite mediche di controllo, effettuate dal competente organo sanitario, volte a verificare l'effettiva sussistenza dell'incapacità lavorativa del dipendente. L'art. 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150, ha inserito l'art. 55 octies nel d.lgs. n. 165/2001, che prevede la possibilità di risoluzione del rapporto di lavoro in caso di accertata permanente inidoneità psicofisica al servizio dei pubblici dipendenti.

La disposizione prospetta la possibilità che l'accertamento della inidoneità al servizio possa essere effettuata dall'amministrazione prima che il periodo di comporto sia terminato. Tuttavia, la dettagliata disciplina attuativa dell'art. 55 octies è demandata ad appositi regolamenti non ancora emanati.Superato il normale periodo di comporto previsto, al dipendente che ne faccia richiesta è concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi.

Si parla al riguardo di comporto prolungato. Tale periodo però dà solo titolo alla conservazione del posto di lavoro, non è retribuito ed interrompe l'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresa la maturazione delle ferie.

L'amministrazione, prima di concedere l'ulteriore periodo di assenza richiesto, può procedere all'accertamento delle condizioni di salute del dipendente, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro.

Se a seguito di tale accertamento il dipendente è dichiarato, dal competente organo sanitario, permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l'ufficio scolastico regionale può procedere alla risoluzione del rapporto, previa corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso. Analogamente, è possibile procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro al superamento del periodo di comporto previsto, in mancanza di espressa richiesta del dipendente di usufruire del comporto prolungato.

Tuttavia, l'art. 17 comma 5 prevede che, se il docente dichiarato inidoneo alla sua funzione per motivi di salute risulta idoneo ad altre eventuali mansioni, può presentare domanda di collocazione fuori ruolo e/o di utilizzazione in altri compiti consoni alla sua preparazione culturale e professionale. L'utilizzazione è disposta dal Direttore Scolastico Regionale, sulla base dei criteri stabiliti in sede di contrattazione integrativa nazionale. La mancata richiesta di utilizzazione autorizza l'amministrazione a procedere alla risoluzione definitiva del rapporto di lavoro, previa corresponsione dell'indennità sostitutiva di preavviso.

Il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo del 25 giugno 2008 concerne criteri e modalità di utilizzazione del personale della scuola dichiarato permanentemente o temporaneamente inidoneo per motivi di salute allo svolgimento delle proprie funzioni, in applicazione degli artt. 4 comma 2 e 17 comma 5 del CCNL del 29 novembre 2007.

Sul personale docente ed educativo permanentemente inidoneo collocato fuori ruolo, sono intervenute a più riprese varie finanziarie in questi anni.

La finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007), all'art. 3 comma 127 ha previsto l'obbligo di iscrizione di questi docenti inidonei in uno speciale ruolo ad esaurimento ai fini di una eventuale successiva mobilità, anche intercompartimentale.Il CCNI regola le modalità di utilizzazione del personale docente collocato fuori ruolo, in attesa che si espletino le procedure previste nella finanziaria 2008, ma regola anche le modalità di utilizzazione sia dei docenti temporaneamente inidonei (e quindi non collocati fuori ruolo) che del personale Ata, non più collocato fuori ruolo in seguito alla legge 27 dicembre 2002 n. 289 art. 35 comma 6 (finanziaria 2003), ma comunque non idoneo all'espletamento di tutte la mansioni del proprio profilo.

Il personale docente ed educativo che viene riconosciuto permanentemente inidoneo per motivi di salute, nelle more dell’espletamento delle procedure di mobilità, può a domanda:
- essere utilizzato in altri compiti, prioritariamente nell’ambito del comparto scuola, tenendo conto della sua preparazione culturale e dell’esperienza professionale maturata. A tal fine sottoscrive un nuovo contratto individuale di lavoro; 
- essere dispensato dal servizio per motivi di salute.

Il personale docente ed educativo già collocati fuori ruolo alla data di stipula del CCNI in esame, è confermato nell'utilizzazione in atto. In questo caso, al momento dell'eventuale attivazione delle procedure previste dalla legge finanziaria, il docente potrà rinunciare ad avvalersi di tale procedura di ricollocazione presso un altro comparto ed essere dispensato dal servizio.

L'utilizzazione del personale Ata potrà avvenire nell'ambito dello stesso circolo o scuola, tenendo anche conto della preparazione culturale e professionale e dei titoli di studio posseduti dall'interessato. L'utilizzazione conformemente a quanto previsto nel CCNI sulle utilizzazioni può essere disposta a domanda anche presso altre istituzioni scolastiche ed educative.

L'art. 35 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (espressamente richiamato dall'art. 17 comma 18 del CCNL del 29 novembre 2007), prevede al comma 5 che il personale docente collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti per inidoneità permanente ai compiti di istituto può chiedere di transitare nei ruoli dell'amministrazione scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico. Tale personale, qualora non transiti in altro ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di cinque anni dalla data del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di utilizzazione in altri compiti.

Decorso tale termine, si procede alla risoluzione del rapporto di lavoro sulla base delle disposizioni vigenti. La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tale norma, che prevede un differente trattamento del personale docente rispetto al personale dirigente e al personale ATA del comparto scuola, in ragione della previsione solo per il primo della risoluzione del rapporto di lavoro.

La Corte costituzionale con sentenza n. 322 del 2005 ha affermato la piena legittimità di trattamenti non omogenei, a causa della diversità delle funzioni svolte da queste categorie di personale, diversità che rende ragionevole una diversificata disciplina della materia. Analogamente la Corte Costituzionale si è pronunciata con ordinanza n. 56 del 10 febbraio 2006.


Nel caso in cui si addivenga alla risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica le specifiche norme di riferimento sono contenute:
- nel DPR 10 gennaio 1957 n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), art. 129 ("Può essere dispensato dal servizio l'impiegato divenuto inabile per motivi di salute, salvo che non sia diversamente utilizzato ai sensi dell'art. 71");
- nel D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), artt. 512 e 513 ("il personale di cui al presente titolo è dispensato dal servizio per inidoneità [...]. I provvedimenti di dispensa sono adottati dal provveditore agli studi [...]"). 
- Tuttavia quest'ultima disposizione deve ritenersi abrogata per incompatibilità con l'art. 14 del D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275 (Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche) e con l'art. 25 del D.Lgs. 165/2001 i quali attribuiscono al dirigente scolastico la competenza ad emettere il decreto di dispensa dal servizio per inidoneità fisica permanente.

La data della dispensa dal servizio per inidoneità fisica permanente decorre dalla data di emanazione del relativo provvedimento, che coincide con quella di risoluzione del rapporto d'impiego.

I periodi di assenza per malattia, salvo quelli previsti nel caso di comporto prolungato, non interrompono la maturazione dell’anzianità di servizio a tutti gli effetti.

Dall’applicazione dell’esposta disciplina il CCNL fa salve le norme speciali che garantiscono il diritto alla conservazione del posto per coloro che sono affetti da TBC (la normativa di riferimento è costituita dall’art. 9 della legge n. 1088/1970, come modificato dall’art. 10 della legge n. 419/1975, che garantisce la conservazione del posto di lavoro per l’intera durata della malattia, e fino a sei mesi dopo la dimissione dal luogo di cura per avvenuta guarigione o stabilizzazione della malattia stessa), nonché le norme contenute nella legge 26 giugno 1990, n.162, assorbita dal D.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309, che garantiscono il diritto alla conservazione del posto per coloro che devono partecipare attivamente all’assistenza di propri famigliari in particolari programmi terapeutici.

Nei casi di gravi patologie, che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti, sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital, anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. Gli altri giorni di assenza, invece, rientrano nella normale regolamentazione delle assenze per malattia. La gravità della patologia deve essere accertata e certificata dalla competente ASL, unitamente all’attestazione che le terapie, per loro natura e modalità di svolgimento possono avere conseguenze temporaneamente e/o parzialmente invalidanti per il lavoratore.

Una differente disciplina è riservata dall’art. 20 del CCNL all’infortunio sul lavoro, al ricorrere del quale il dirigente ha diritto alla conservazione del posto fino alla guarigione clinica, escludendo tale periodo di infermità dal computo del comporto. Analogamente, in caso di malattia dipendente da causa di servizio il posto di lavoro è conservato fino a completa guarigione clinica.

Occorre infine evidenziare che, per espressa previsione dell’art. 13 del CCNL l’insorgenza della malattia determina la sospensione delle ferie, se l’episodio morboso si protrae per più di 3 giorni o dia luogo a ricovero ospedaliero. In tale ipotesi il contratto collettivo pone a carico del dirigente scolastico l’onere di informare tempestivamente l'Amministrazione, producendo la relativa documentazione sanitaria. 
Con specifico riguardo al personale docente ed ATA assunto con contratto a tempo determinato per l'intero anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, nonché quello ad esso equiparato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, l’art. 19 comma 3 del CCNL dispone, in caso di assenza per malattia, il diritto alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico.

L’art. 19 comma 10 disciplina i casi di assenza dal servizio per malattia del personale docente ed ATA, assunto con contratto a tempo determinato stipulato dal dirigente scolastico, stabilendo che in tale ipotesi si applichi l'art. 5 del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638. Tale personale ha diritto, nei limiti di durata del contratto medesimo, alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 30 giorni annuali.

 

TRATTAMENTO ECONOMICO DURANTE LA MALATTIA          (torna all'indice)

Il trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva in esame (CCNL 29 novembre 2007) in caso di assenza per malattia è il seguente:

a) intera retribuzione mensile, ivi compresa la retribuzione professionale docenti ed il compenso individuale accessorio, con esclusione di ogni altro compenso accessorio, comunque denominato, per i primi 9 mesi di assenza. Nell’ambito di tale periodo, per le malattie superiori a 15 gg. lavorativi, o in caso di ricovero ospedaliero e per il successivo periodo di convalescenza post-ricovero, al dipendente compete anche ogni trattamento economico accessorio a carattere fisso o continuativo.

b) 90% del

Il personale docente ed ATA assunto con contratto a tempo determinato per l'intero anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, nonché quello ad esso equiparato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, assente per malattia ha diritto, ai sensi dell’art. 19 comma 4 del CCNL, al seguente trattamento economico:

- intera retribuzione nel primo mese di assenza;

- 50% della retribuzione nel secondo e terzo mese;

- per il restante periodo il personale anzidetto ha diritto alla conservazione del posto senza assegni.

La norma dispone altresì che le assenze per malattia parzialmente retribuite non interrompono la maturazione dell'anzianità di servizio a tutti gli effetti. Invece, i periodi di assenza senza assegni interrompono la maturazione dell'anzianità di servizio a tutti gli effetti. Si applicano comunque le disposizioni relative alle gravi patologie, di cui all’art. 17, comma 9, nonché le norme previste per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro e a causa di servizio, ai sensi dell’art. 20 comma 3.

Nei casi di assenza dal servizio per malattia del personale docente ed ATA, assunto con contratto a tempo determinato stipulato dal dirigente scolastico, l’art. 19 comma 10 garantisce la retribuzione del 50% per il periodo di conservazione del posto. Tale periodo di assenza parzialmente retribuito non interrompe la maturazione dell'anzianità di servizio a tutti gli effetti. Anche a tale personale si applicano le disposizioni relative alle gravi patologie, di cui all’art. 17, comma 9, nonché le norme previste per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro e a causa di servizio, ai sensi dell’art. 20 comma 3.

la retribuzione di cui alla lett. a) per i successivi 3 mesi di assenza, ossia dal 10° al 12° mese.

c) 50% della retribuzione di cui alla lett. a) per gli ulteriori 6 mesi del periodo di conservazione del posto, ossia dal 13° al 18° mese.

Come precedentemente indicato, non è prevista alcuna retribuzione per l’ulteriore periodo di assenza di diciotto mesi (c.d. comporto prolungato), in quanto finalizzato alla sola conservazione del posto di lavoro.

Nei casi di gravi patologie, che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti, sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital, anche quelli di assenza dovuti alle certificate terapie invalidanti. Dunque, per tali giorni di assenza spetta l’intera retribuzione. Gli altri giorni di assenza vengono invece retribuiti secondo la retribuzione delle assenze per malattia.

Il CCNL prevede un differente trattamento economico in caso di assenza dovuta ad infortunio sul lavoro. Infatti l’art. 20 stabilisce che il dipendente ha diritto alla percezione dell’intera retribuzione comprensiva della retribuzione di posizione per tutta la durata del periodo occorrente alla completa guarigione clinica. Anche in caso di malattia dipendente da causa di servizio, spetta al dipendente l’intera retribuzione per tutto il periodo di conservazione del posto di lavoro.

Il decreto legislativo n. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, ha introdotto misure normative destinate ad incrementare l’efficienza delle pubbliche amministrazioni, anche mediante interventi in materia di trattamento del personale.

In particolare il decreto nell’art. 71 prevede una nuova disciplina in materia di assenze per malattia che, oltre a definire le modalità per la presentazione della certificazione medica e per i controlli che le amministrazioni devono disporre, stabilisce il trattamento economico spettante al dipendente. Inoltre, la norma espressamente sancisce che la disciplina così introdotta non può in alcun modo essere derogata dai contratti collettivi, che invece continuano ad applicarsi nelle parti non incompatibili con il nuovo regime legale.

L’introdotta normativa prevede che per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni è corrisposto, nei primi dieci giorni di assenza, il trattamento economico fondamentale, con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso o continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio.

Da quanto esposto consegue che, in caso di assenza protratta per un periodo superiore a dieci gironi, i primi dieci giorni saranno assoggettati alle ritenute prescritte dall’introdotta normativa, mentre ai successivi giorni di assenza si applicherà il regime economico stabilito dal contratto collettivo come in precedenza delineato, dunque a partire dall’undicesimo giorno in poi sarà ripristinata l’erogazione di tutti gli emolumenti e l’indennità aventi carattere fisso e continuativo. Se l’assenza per malattia ha una durata complessiva inferiore o uguale a dieci gironi, verrà corrisposto unicamente il trattamento economico fondamentale, con decurtazione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso o continuativo, nonché di ogni altro trattamento economico accessorio.

In sintesi, la intervenuta modifica:

- incide esclusivamente sul trattamento accessorio;

- opera per ogni episodio di assenza per malattia (anche di un solo giorno);

- attiene solo i primi dieci giorni di assenza di ogni episodio, anche se l’assenza, per lo stesso evento, si protrae oltre il limite indicato;

- determina tante decurtazioni quanti sono gli eventi (anche di un solo giorno) che si verificano nel corso dell’anno.

È importante sottolineare che la introdotta decurtazione retributiva opera in tutte le fasce tre retributive previste dal contratto collettivo (sub a), b), c)), che non sono soppresse dalla nuova normativa, ma permangono. Da ciò consegue che la riduzione retributiva prevista dalla legge per i primi dieci giorni di assenza per ciascun evento morboso si sovrappone al trattamento economico previsto dal contratto collettivo. Inoltre, anche i periodi di assenza per malattia retribuiti in misura ridotta non interrompono la maturazione dell’anzianità di servizio, né riducono le ferie che continuano a maturare regolarmente.

L’art. 71 prevede tuttavia una deroga espressa all’operatività del nuovo trattamento economico, che concerne le assenze:

- per infortunio sul lavoro;

- per malattia dovuta a causa di servizio;

- per ricovero ospedaliero o in day hospital (il Dipartimento della Funzione Pubblica, con parere n. 53/2008, equipara al ricovero anche il successivo periodo di convalescenza post-ricovero);

- per patologie gravi richiedenti cure salvavita.

In tali ipotesi si applica infatti il trattamento economico più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle normative di settore. L’operatività della deroga è dunque subordinata alla circostanza che il contratto collettivo di riferimento preveda espressamente, per le indicate fattispecie, una disciplina specifica più favorevole rispetto a quella dettata, in via generale, per la regolamentazione delle assenze per malattia. Ciò avviene nel contratto collettivo nazionale docenti e personale ATA, che continua così a disciplinare tali specifiche fattispecie, consentendo l’operatività della deroga espressa prevista nell’art. 71.

I risparmi derivanti dall'applicazione dell’introdotta disciplina costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Da ciò consegue che tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa

 

COMUNICAZIONE DELLA MALATTIA          (torna all'indice)

L’assenza dal lavoro per malattia pone a carico del dipendente ammalato una serie di obblighi, tra i quali il dovere di comunicare lo stato di malattia.Il CCNL, all’art. 17 commi 10 e 13, impone al dipendete di comunicare all’istituto scolastico o educativo in cui presta servizio la sua condizione di temporanea infermità, salva l’ipotesi di comprovato impedimento.

Tale comunicazione deve essere effettuata tempestivamente nello stesso giorno del verificarsi dello stato morboso, e comunque non oltre l’inizio dell’orario di lavoro, anche nel caso di eventuale prosecuzione di tale assenza. Inoltre, se il dipendente si trovi, al momento della malattia, in una località diversa da quella di abituale dimora nota all’amministrazione, egli è altresì tenuto ad indicare l’indirizzo di reperibilità.

Nel caso in cui l'infermità sia causata da colpa di un terzo, il dipendente è tenuto a dare comunicazione di tale circostanza all'Amministrazione, che è legittimata ad esperire eventuali azioni dirette nei confronti del terzo responsabile.

Al ricorrere di tale specifica fattispecie, il risarcimento del danno da mancato guadagno effettivamente liquidato da parte del terzo responsabile, qualora comprensivo anche della normale retribuzione, deve essere comunque versato dal dipendente all'Amministrazione, fino a concorrenza di quanto dalla stessa erogato durante il periodo di assenza per malattia a titolo retributivo.

La tempestiva comunicazione dell’inizio della malattia ha plurime finalità: oltre a contribuire a giustificare l’assenza dal lavoro (ma successivamente a tale comunicazione il dipendente è tenuto a giustificare l’assenza con certificato medico secondo le modalità di seguito indicate), consente al datore di lavoro di ovviare alle difficoltà e ai disagi generati dall’assenza del dipendente ammalato, permette altresì l’attivazione degli strumenti di controllo volti ad accertare l’effettività della malattia.

 

NOZIONE E FUNZIONE DEL CERTIFICATO          (torna all'indice) 

 

Il certificato di malattia è una attestazione scritta di fatti tecnicamente apprezzabili e valutabili dal medico, fatti obiettivi riscontrati dalla percezione visiva, auditiva e intellettiva del medico nell'esercizio della sua attività professionale.

La circostanza che il medico possa attestare solo dati clinici personalmente constatati e che sia tenuto a formulare giudizi obiettivi e scientificamente corretti, come anche il codice di deontologia medica gli impone (precisamente, il Codice di Deontologia Medica del 16 dicembre 2006 all'art.24 dispone che: 'Il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati), consente all'ordinamento di riconoscere valore probatorio al certificato.

La giurisprudenza ha recepito tale impostazione, sancendo che 'non costituisce prova idonea della sussistenza dell'infermità che giustifica l'assenza dal lavoro un certificato nel quale il medico si sia limitato ad attestare che il lavoratore dichiara di soffrire o di aver sofferto di un determinato disturbo' (Corte di Appello di Roma, sent. 16 gennaio 2004), mancato appunto la valutazione tecnica di fatti obiettivi direttamente apprezzati e valutati dal medico.

Analogamente, nell'affrontare la questione di uno stato morboso antecedente alla visita, la Cassazione dopo aver confermato che la validità del certificato è legato alla contemporanea presenza dell'osservazione diretta da parte del certificante e della malattia in atto, ha poi precisato che il medio può certificare, oltre che lo stato patologico esistente al momento della visita, anche l'eventuale esistenza o inesistenza di uno stato morboso antecedente al momento suddetto, sulla base della sintomatologia comunque accertata (Cass., Sez. Lavoro, sent. del 15 dicembre 2004 n. 23326).

Inoltre la Cassazione ha espressamente qualificato in termini di atti pubblici fidefacenti i certificati medici rilasciati dai medici convenzionati con le ASL (si veda fra le altre Cass. Sez.VI, sentenza del 1 ottobre 2007, n. 35836).

L’attestato di malattia, invece, si differenzia dal certificato di malattia in quanto non contiene l’esplicitazione della diagnosi, ciò in osservanza alla normativa in materia di trattamento dei dati personali. La distinzione assume rilievo in relazione al divieto di esplicitazione al datore di lavoro della diagnosi, precisamente, le pubbliche amministrazioni, salvo specifiche previsioni, non possono chiedere che sui certificati prodotti a giustificazione dell’assenza per malattia sia indicata la diagnosi, essendo sufficiente l’enunciazione della prognosi (si veda in proposito anche la Delibera del Garante per la protezione dei dati personali del 14 giugno 2007, relativa a “Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico”).

Il certificato medico di malattia ha la funzione di attestare l’incapacità temporanea al lavoro del lavoratore. Dunque, è lo strumento che gli consente di giustificare la propria assenza nei confronti del datore di lavoro, inoltre, attraverso l’indicazione dell’indirizzo del lavoratore, permette l’effettuazione di visite di controllo per accertare la veridicità delle attestazioni in esso contenute.

Il certificato di malattia garantisce il diritto del lavoratore malato a non espletare la prestazione dedotta nel contratto di lavoro per la durata dell’evento morboso e, ciò nonostante, a ricevere il trattamento economico nella misura specificamente stabilita dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Le assenze non giustificate, invece, oltre a non essere coperte dall’indennità economica, potranno determinare una responsabilità disciplinare. È importante evidenziare che, per espressa previsione dell’art. 49, comma 1, del d.P.R. n. 445/2000 il certificato di malattia, per le sue specifiche caratteristiche ed il valore probatorio che l’ordinamento gli conferisce, non può assolutamente essere sostituito da altra documentazione.

 

MODALITA' DI CERTIFICAZIONE          (torna all'indice)

 

Il CCNL prevede che l’assenza per malattia deve essere tempestivamente comunicata dal dipendente, unitamente all’indicazione del luogo di dimora e alla produzione della certificazione necessaria, salvo comprovato impedimento. Inoltre, all’art. 17 co. 11, indica le specifiche modalità attraverso le quali far pervenire all’amministrazione le necessarie certificazioni.

Precisamente, la norma impone al dipendente di recapitare o spedire a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento il certificato medico di giustificazione dell’assenza con indicazione della sola prognosi, entro e non oltre i cinque giorni successivi all’inizio della malattia o dell’eventuale prosecuzione della stessa, comunicando per le vie brevi la presumibile durata della prognosi. Qualora tale termine scada in giorno festivo esso è prorogato al primo giorno lavorativo successivo.Le recenti disposizioni legislative, tuttavia, hanno integrato la disciplina contrattuale, innovando profondamente le modalità attraverso le quali certificare la malattia.

Riprendendo quanto già contenuto in parte nell’art. 71 del D.L.112/2008, convertito con L.n. 133/2008, il D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 ha modificato il Testo Unico sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165/2001). Al riguardo è particolarmente significativa l’introduzione dell’art. 55 septies, volto a disciplinare i controlli sulle assenze per malattia.

La norma indica due specifiche ipotesi in cui l’assenza per malattia deve essere giustificata solo ed esclusivamente mediante una certificazione medica rilasciata:

- da una struttura sanitaria pubblica, oppure

- da un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, in armonia con le norme concernenti l’organizzazione e l’assistenza sanitaria delineate dal D.Lgs. n. 502 del 1992, escludendo quindi che la certificazione possa essere rilasciata da un medico libero professionista non convenzionato.

Questa specifica certificazione è richiesta:
1) nel caso di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni;
2) dopo il secondo evento di malattia nell’anno solare, indipendentemente dalla durata dello stesso, successivo ad un precedente episodio morboso. Precisamente, per evento di malattia si intende il singolo periodo continuativo di malattia, che può protrarsi anche per un solo giorno.
Al di fuori di tali ipotesi, ossia in caso di primo o secondo evento di malattia e sempre che la prognosi iniziale non superi i dieci giorni, sono abilitati al rilascio della certificazione di malattia sia il medico di famiglia sia un medico specialista, convenzionato o meno con il servizio sanitario nazionale.

I certificati possono essere rilasciati altresì da una struttura sanitaria, pubblica o privata. In caso di ricovero ospedaliero, sarà la stessa struttura ospedaliera a rilasciare un certificato attestante la data del ricovero.

Un’ulteriore innovazione concerne le modalità di trasmissione della certificazione medica. Infatti, in tutti i casi di assenza per malattia (indipendentemente dalla durata dell’assenza, che può essere anche di un solo giorno) la certificazione medica deve essere inviata per via telematica all’INPS.
Tale dovere di trasmissione telematica grava sul medico o sulla struttura sanitaria deputati al rilascio della certificazione. La trasmissione avviene secondo le modalità stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato.
L’INPS a sua volta è tenuto ad inoltrare immediatamente la stessa certificazione medica, con le medesime modalità, all’amministrazione interessata.

 

CERTIFICATO CARTACEO E TELEMATICO          (torna all'indice)
 

Il D.Lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 contribuisce all'innovazione della pubblica amministrazione sul fronte dell'informatizzazione, allo scopo di conseguirne vantaggi in termini di economicità ed efficienza, facendo entrare nel pubblico impiego il certificato medico elettronico, previsto sino a quel momento solo nell'ambito del rapporto di lavoro privato. La riforma consentirà infatti di assicurare un più efficace sistema di controllo delle assenze per malattia, permettendo un miglior monitoraggio dell'assenteismo per malattia ed una conseguente repressione degli abusi, disponendo di dati statistici attendibili.

Tuttavia, ciò che specificamente differenzia il certificato medico elettronico rispetto al certificato medico cartaceo è la modalità di trasmissione all'INPS dei dati contenuti nel certificato, che avviene in via telematica.

L'introdotto art. 55 septies del D.Lgs. n. 165/2001 non fornisce una definizione di certificato medico elettronico.

Al D.Lgs. 150/2009 ha fatto seguito un decreto attuativo del Ministero della Salute del 26 febbraio 2010 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010) che ha definito le modalità tecniche per la predisposizione e l'invio telematico dei dati delle certificazioni di malattia al 'Sistema di Accoglienza Centralizzata' (SAC). Attraverso tale decreto il governo ha dato attuazione al contenuto dell'art. 55 septies nella parte in cui sancisce l'obbligo della trasmissione telematica del certificato medico.

Infine, il Dipartimento per la Funzione Pubblica ha emanato la circolare n. 1 in data 19 marzo 2010 (prot. n. 74) attraverso la quale ha fornito tutti i chiarimenti e le istruzioni operative necessarie per la trasmissione telematica dei certificati di malattia dei dipendenti pubblici.

Il decreto attuativo opera un espresso rinvio alle definizioni contenute nel DPCM 26 marzo 2008, concernente l'invio telematico del certificato medico nel settore privato, cui occorre fare riferimento per la definizione del certificato medico elettronico.

L'art. 8 del CPDM del 26 marzo 2008 indica specificamente il contenuto del certificato di malattia telematico, che deve indicare:

-       i dati anagrafici del lavoratore ed il suo codice fiscale;

-       la residenza o il domicilio abituale ed il domicilio di reperibilità durante la malattia;

-       la diagnosi ed il codice nosologico;

-       la data di inizio della malattia, la data di rilascio del certificato, la data di presunta fine della malattia nonché, nei casi di accertamento successivo al primo, di prosecuzione o ricaduta della malattia;

-       se trattasi di visita ambulatoriale o domiciliare.

 

SOGGETTI COINVOLTI NELLA PROCEDURA TELEMATICA          (torna all'indice)
 

La procedura telematica strumentale alla certificazione della malattia, come disciplinata dall'art. 55 septies del T.U sul pubblico impiego (e dalla circolare n.1 del 19 marzo 2010 del Dipartimento per la Funzione Pubblica), prevede il coinvolgimento del lavoratore, del medico, dell'INPS, della pubblica amministrazione nella veste di datore di lavoro, delineando specifici doveri in capo a ciascuno.

Il lavoratore, secondo quanto espressamente richiesto dalla circolare n. 1/2010, deve rendere la disponibile al medico la propria tessera sanitaria, dalla quale trarre il codice fiscale, e dichiarare di prestare la propria attività lavorativa presso una delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1 co. 2, D.Lgs. n. 165/2001. Inoltre, deve indicare l'indirizzo di reperibilità durante la malattia, qualora sia diverso da quello in precedenza fornito all'amministrazione.

Il lavoratore ha diritto ad una copia cartacea del certificato, o all'inoltro tramite posta elettronica, o tramite posta elettronica certificata in formato pdf. Se tuttavia il medico non possa in tal modo provvedere, il lavoratore può richiedergli il numero di protocollo identificativo del certificato di malattia emesso.

Il lavoratore non è dunque tenuto ad inviare all'amministrazione di appartenenza il certificato medico, essendo tale onere assolto dall'invio telematico effettuato dal medico che ha posto in essere lo stesso certificato. Tuttavia rimane fermo l'obbligo di comunicare tempestivamente l'indirizzo di reperibilità e la propria assenza all'amministrazione ai fini del controllo medico fiscale. Un ulteriore aspetto positivo dell'intervenuta riforma è rappresentato dalla circostanza che l'INPS mette subito a disposizione del lavoratore le attestazioni di malattia relative ai certificati ricevuti, consentendogli l'accesso diretto al sistema INPS attraverso l'inserimento del codice fiscale e del numero di protocollo del certificato medico rilasciato.

Il medico che effettua l'elaborazione e la trasmissione telematica del certificato può essere sia un medico dipendente del servizio sanitario nazionale, che un medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale. Egli è inoltre legittimato ad annullare o rettificare i certificati già inviati, tramite una specifica procedura appositamente predisposta.

Inviato il certificato telematico il medico ha il dovere di: stampare e consegnare la lavoratore la copia cartacea, oppure inoltrare la copia in formato in formato pdf alla casella di posta elettronica, o ancora inoltrare la copia in formato pdf alla casella di posta elettronica certificata. Laddove il medico sia impossibilitato a provvedere attraverso uno dei modi suddetti, egli è tenuto a fornire al lavoratore il numero di protocollo del certificato emesso, anche tramite sms.

Nel caso in cui non siano disponibili i servizi telematici, il medico rilascerà al lavoratore il certificato in forma cartacea, che procederà all’inoltro diretto nei termini e con le procedure previsti dal CCNL.

L’INPS, quando riceve il certificato medico elettronico, deve subito mettere a disposizione del datore di lavoro l’attestazione della malattia rilasciata dal medico. L’INPS può assolvere a tale obbligo alternativamente consentendo al datore di lavoro pubblico l’accesso diretto al sistema INPS, ovvero attraverso l’invio alla casella di posta elettronica certificata indicata dal datore di lavoro pubblico.

La pubblica amministrazione, nella veste di datore di lavoro, è la destinataria del certificato medico elettronico, ed è tenuta ad inviare gli attestati di malattia concernenti il lavoratore entro ventiquattro ore, previo l’assenso dello stesso, alla casella di posta elettronica nominativa ovvero alla casella di posta elettronica certificata - rilasciata dall’amministrazione al lavoratore.

 

PROFILI SANZIONATORI          (torna all'indice)
 

A garanzia dell'effettivo adempimento della trasmissione telematica del certificato di malattia, l'art. 55 septies, comma quarto, del D.Lgs. n. 165/2001 ha predisposto una specifica figura di illecito disciplinare ed un apparato sanzionatorio.

La norma specificamente dispone che l'inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione medica avente ad oggetto l'assenza del lavoratore per malattia costituisce un illecito disciplinare del medico. La violazione dell'obbligo di trasmissione è integrata, oltre che dal mancato invio del certificato, anche dall'invio effettuato in violazione delle specifiche prescrizioni, come in caso di invio a soggetto diverso, di invio in forma cartacea, di invio di informazioni incomplete o errate, di invio di certificazione con ingiustificato ritardo. L'elemento soggettivo dell'illecito disciplinare è individuato nella colpa, intesa come negligenza, imprudenza, imperizia, verificata anche in relazione alla disponibilità e al funzionamento dei mezzi telematici richiesti. L'invio non tempestivo della certificazione medica per temporanea interruzione della connessione internet, ad esempio, determina l'insussistenza dell'illecito per inesigibilità della condotta, come espressamente indicato nella circolare n. 1 del 19 marzo 2010 del Dipartimento per la Funzione Pubblica.

La reiterazione della così delineata condotta di violazione degli obblighi di trasmissione del certificato, inoltre, determina l'applicazione di disposizioni sanzionatorie. Tali sanzioni sono il licenziamento del medico, se dipendente dell'amministrazione, ovvero la decadenza dalla convenzione, se il medico è convenzionato con le Asl. Va sottolineato che l'applicazione di tale apparato sanzionatorio è subordinato alla ripetuta inosservanza dell'obbligo di trasmissione, laddove la singola condotta integra unicamente gli estremi dell'illecito disciplinare. La competenza all'irrogazione delle sanzioni è dell'ASL da cui dipende il medico o con cui è in rapporto di convenzione.

Un ulteriore strumento a garanzia della certificazione medica della malattia è predisposto in caso di false attestazioni o certificazioni. Infatti, l'art. 55 quinquies commina la reclusione da uno a cinque anni e la multa da 400 a 1600 Euro al dipendente pubblico che giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia. La medesima pena si applica altresì al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.

Il dipendente pubblico, in aggiunta alla responsabilità penale e disciplinare (che ai sensi dell’art. 55 quater, comma 1, lettera a) può condurre al licenziamento disciplinare senza preavviso), è inoltre tenuto a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione.

La norma dispone, analogamente all’art. 55 septies comma 4, il licenziamento per giusta causa del medico dipendente di una struttura sanitaria pubblica, o la decadenza dalla convenzione del medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, in caso di sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di false attestazioni o certificazioni. A tale sanzione si aggiunge la radiazione dall’albo comminata in via disciplinare. Analoghe sanzioni si applicano se il medico rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati, né oggettivamente documentati. È questo ad esempio il caso del medico che, senza il supporto di specifica documentazione, rilascia un certificato di malattia comprendendo periodi antecedenti alla data della visita medica, facendo però coincidere la data del certificato con quella di inizio della prognosi.

Da quanto esposto emerge una duplice tutela attinente la certificazione della malattia, concernente in primo luogo il contenuto del certificato, a tutela della veridicità di quanto in esso attestato e della funzione probatoria che assolve, strumentale a garantire al lavoratore malato l’accesso ai benefici a lui riservati dalla legge. Inoltre è tutelato l’effettivo adempimento della trasmissione per via telematica dei certificati di malattia, in considerazione dei vantaggi che derivano all’amministrazione dall’applicazione di tale sistema in termini di efficienza ed economicità.

Un ultimo profilo di responsabilità è configurato dall’art. 55 septies comma 6, che pone a carico del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora nonché del dirigente preposto all’amministrazione del personale (gestione delle risorse umane) l’obbligo di curare, secondo le rispettive competenze, l’osservanza scrupolosa delle disposizioni dettate in materia di controllo sulle assenze, al fine di prevenire o contrastare, nell’interesse della funzionalità dell’ufficio, le condotte assenteistiche. In caso di inosservanza dell’obbligo anzidetto, i soggetti inadempienti risponderanno ai sensi dell’art. 21 (responsabilità dirigenziale) e dell’art. 55 sexies co. 3 (responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l’amministrazione) del d.lgs. n. 165/2001.

 

DIPENDENTE CHE SI AMMALA DURANTE UN SOGGIORNO ALL'ESTERO          (torna all'indice)
 

Nel caso in cui la malattia che determina un'incapacità lavorativa venga contratta all'estero il dipendente, comunque tenuto a darne tempestiva notizia al proprio datore di lavoro, deve seguire una particolare procedura per documentare correttamente l'evento morboso. Al riguardo occorre operare delle distinzioni (sul punto cfr. INPS, circolare n. 136/2003, par. 11 e circolare n. 95 bis/2006):

1)   Il dipendente al momento del verificarsi dell'evento morboso si trova in un paese dell'Unione Europea,

in tale ipotesi il certificato medico redatto da un medico o da una struttura sanitaria appartenente a tale paese è direttamente valido in Italia, senza che si debba esperire alcuna ulteriore formalità, in quanto redatto nei modi e su formulari concordati.

2)   Il dipendente si ammala durante un soggiorno all'estero in un Paese non facente parte della Comunità Europea ovvero in un paese che non ha stipulato con l'Italia Convenzioni ed Accordi specifici che regolano la materia,

il certificato medico redatto da un medico o da una struttura sanitaria ivi operante deve necessariamente essere legalizzato, con obbligo della relativa traduzione in italiano, a cura della rappresentanza diplomatica o consolare italiana operante nel territorio estero. Per legalizzazione si intende l'attestazione, resa anche a mezzo timbro, che il documento è valido ai fini certificativi secondo le disposizioni locali. Da ciò consegue che la sola attestazione della autenticità della firma del traduttore abilitato ovvero della conformità della traduzione all'originale non equivale alla legalizzazione e non è sufficiente ad attribuire all'atto valore giuridico in Italia.

L'adempimento, potendo richiedere tempi più lunghi, può essere espletato, a cura dell'interessato, anche in un momento successivo al rientro in Italia (e anche per via epistolare).

Alcune Ambasciate o Consolati operanti presso i predetti Paesi (ad esempio Marocco, Sri Lanka) incaricano medici di loro fiducia di esaminare i certificati di cui trattasi. Detti medici, dopo averne accertata la veridicità, consegnano agli interessati (che talvolta vengono anche sottoposti a visita) la certificazione 'originale' convalidata, ovvero, in sostituzione di questa, altra certificazione da loro redatta direttamente in lingua italiana. Al ricorrere di tali fattispecie, la legalizzazione deve ritenersi in sostanza perfezionata all'atto della convalida della certificazione originale o della redazione della nuova certificazione, fermo restando che è comunque sempre necessaria la attestazione, da parte dell'ambasciata o consolato interessati, della veste di proprio medico fiduciario conferita al sanitario che ha svolto tale adempimento, nonché della autenticità della sua firma.

Il dipendente si ammala in un Paese non facente parte dell'Unione Europea, ma che ha stipulato con l'Italia (o con la U.E.) Convenzioni o Accordi specifici che regolano la materia, in cui è espressamente previsto che la certificazione di malattia rilasciata dall'Istituzione locale competente (o, per quanto qui interessa, da medici abilitati dalla stessa) è esente da legalizzazione.

I Paesi di cui trattasi sono:

  • • Paesi extra UE con i quali sono stati stipulati Accordi che prevedono l’applicazione della disciplina comunitaria: Islanda, Norvegia e Liechtenstein in base all’Accordo SEE (Spazio Economico Europeo), Svizzera (in base all’Accordo sulla libera circolazione tra CH e UE) e Turchia (non applicazione alla Convenzione Europea di sicurezza sociale).

  • • Paesi extra UE con i quali sono stati stipulate Convenzioni estese all’assicurazione per malattia:

Argentina, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Croazia, Jersey e Isole del Canale, Macedonia, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Stato di Serbia e Montenegro, Tunisia, Uruguay e Venezuela.

Tali Convenzioni o Accordi generalmente prevedono la possibilità di richiedere alle locali Casse o Istituzioni analoghe l’effettuazione di accertamenti sanitari sui lavoratori assistiti in Italia che si ammalano sul territorio estero, fornendo le generalità degli interessati ed il loro esatto recapito all’estero.

Occorre precisare che nei Paesi per i quali, ancorché in presenza di Convenzioni sulla materia, non è prevista espressa dispensa, continua ad essere necessaria la legalizzazione da parte delle rappresentanze diplomatiche o consolari, secondo le disposizioni vigenti.

Qualora, a seguito accertamenti, la certificazione medica presentata dal dipendente non risulti idonea, in quanto rilasciata da soggetti non abilitati, o nel mancato rispetto delle procedure previste, l’amministrazione non terrà conto della stessa, e l’assenza risulterà arbitraria.

 

VISITA MEDICA DI CONTROLLO          (torna all'indice) 


L'amministrazione datrice di lavoro deve disporre il controllo sulla legittimità dell'assenza dal lavoro per malattia, al riguardo impiega lo strumento della visita medica. Infatti, il certificato medico prodotto dal dipendente è l'unico documento che attesta l'incapacità lavorativa, dunque il datore di lavoro deve poter verificare quanto in esso dichiarato. Tale accertamento è espressione del potere direttivo e di organizzazione che fa capo al datore di lavoro, tuttavia deve essere esercitato nel rispetto delle norme che regolano il rapporto di lavoro e di quelle che tutelano la salute, la sicurezza, la libertà e la dignità dei lavoratori.

La visita medica di controllo è volta ad accertare l'effettiva esistenza di uno stato morboso determinato da una patologia che impedisce l'esecuzione della prestazione lavorativa. Assume dunque rilievo di causa legittima di sospensione temporanea della prestazione lavorativa solo la malattia eziologicamente idonea a determinare l'assoluta temporanea incapacità di adempiere la prestazione. Ecco allora che l'accertamento di questo nesso eziologico ha centrale importanza nello svolgimento della visita medica.

Il medico di controllo redige, al termine della vita, un referto in cui indica fra i vari dati necessari all'amministrazione: l'eventuale mancato rispetto delle fasce orarie di reperibilità, l'eventuale inosservanza dell'obbligo di comunicare il recapito di reperibilità, la causa dell'incapacità lavorativa, la durata dell'incapacità lavorativa determinata dalla malattia riscontrata. A tale ultimo riguardo il medico di controllo può confermare la prognosi contenuta nel certificato medico, può ridurla, può azzerarla. In tali ultime due ipotesi, l'ulteriore assenza dal servizio fino alla scadenza della prognosi originaria risulterà arbitraria, salvo la produzione di ulteriore certificazione medica.

Dal risultato della visita medica discendono importanti conseguenze, sia in relazione alla conservazione del posto di lavoro, che al trattamento economico da corrispondere nel periodo di malattia. Ciò ha indotto il legislatore ad affidare l'espletamento della stessa ad organi terzi ed imparziali, sia rispetto al datore di lavoro che al lavoratore, la cui indipendenza garantisca una valutazione tecnica obiettiva. Il decreto legge n. 463/1983, convertito con legge n. 638/1983, che ha affidato alle Unità Sanitarie Locali (oggi ASL), istituite con legge n. 833/1978, l'obbligo di predisporre un servizio idoneo ad assicurare entro lo stesso giorno dalla richiesta, anche se domenicale o festivo, in fasce orarie di reperibilità, il controllo dello stato di malattia dei lavoratori dipendenti assenti dal lavoro a tale titolo. Il decreto ha inoltre disposto specifiche sanzioni economiche da comminare al dipendente assente dalla visita di controllo senza giustificato motivo.

In seguito all'effettuazione della visita medica di controllo, viene meno l'obbligo di reperibilità, in caso contrario verrebbe violato il diritto di spostamento tutelato dall'art. 16 della Costituzione.

 

REGOLAMENTAZIONE DELLA VISITA MEDICA DI CONTROLLO          (torna all'indice) 
 

Il CCNL all'art. 17, commi 12 e 14, stabilisce che l'istituzione scolastica o educativa, oppure l'amministrazione di appartenenza o di servizio, può disporre sin dal primo giorno il controllo della malattia attraverso il competente organo sanitario. Precisando che il controllo non è disposto se il dipendente è ricoverato in strutture ospedaliere pubbliche o private. Inoltre, il dipendente assente per malattia, anche se dispone di espressa autorizzazione ad uscire da parte del medico, è tenuto a farsi trovare nel domicilio comunicato all'amministrazione, in ciascun giorno, anche se domenicale o festivo, dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19.

Tuttavia, il più volte citato d.l. 112/2008 modifica profondamente la regolamentazione del controllo sulla malattia, attraverso una normativa che prevale sulle specifiche disposizioni della contrattazione collettiva con essa incompatibili. L'art. 55 septies del D. Lgs. n. 165/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 150/2009, che riporta integralmente quanto già previsto dal d.l. 112/2008, ha sancito l'obbligo del datore di lavoro pubblico di accertare l'effettività dello stato di malattia del proprio dipendente, anche nel caso di assenza per un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali ed organizzative.

Al riguardo il Dipartimento per la funzione pubblica, con le circolari n. 7 del 17 luglio 2008 e n. 8 del 5 settembre 2008 ha puntualizzato che la richiesta di visita medica di controllo è sempre obbligatoria, salvo particolari impedimenti del servizio del personale derivanti da un eccezionale carico di lavoro o urgenze della giornata. Sono inoltre riconducibili alle 'esigenze funzionali ed organizzative' di cui si deve tener conto nel richiedere la visita fiscale tutte quelle fattispecie che comporterebbero un ingiustificato aggravio di spesa per l'amministrazione. Esemplificando, non avrebbe alcun senso disporre il controllo in caso di ricovero in struttura ospedaliera, qualora adeguatamente certificato, o ancora nei casi in cui il singolo episodio morboso si inserisca nel contesto di un unico ciclo di trattamento per la cura di gravi patologie già precedentemente accertate.

Il Decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione n. 206 del 18 dicembre 2009, che come previsto dal quinto comma dell’art. 55 septies, ha stabilito le fasce orarie di reperibilità del lavoratore entro le quali possono essere effettuate le visite mediche di controllo. Precisamente, le fasce orarie sono quelle comprese dalle ore 9 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 18 di per tutti i giorni anche non lavorativi e festivi.

Tuttavia, sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l’assenza è causalmente riconducibile alle seguenti circostanze:

  1. patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

  2. infortuni sul lavoro;

  3. malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio;

  1. stati patologici sottesi o connessi a situazione di invalidità riconosciuta.

Occorre precisare che tali soggetti sono esonerati dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità, ma non anche da quello di sottoporsi alla visita di controllo. Dunque, nel caso in cui il soggetto non si trovi nel proprio domicilio nelle fasce orarie indicate, la sua assenza risulterà giustifica.

Sono inoltre esclusi dal rispetto delle fasce di reperibilità i dipendenti nei confronti dei quali è già stata effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato. Laddove però un nuovo certificato medico prolunghi la prognosi iniziale, il lavoratore è nuovamente tenuto al rispetto delle fasce di reperibilità.

 

OBBLIGO DI REPERIBILITA'           (torna all'indice)
 

Ai sensi dell'art. 17, commi 15 e 16, del CCNL la permanenza del dipendente nel proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità può essere verificata dall'amministrazione. Qualora il dipendente debba allontanarsi, durante le fasce di reperibilità, dall'indirizzo comunicato per visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati, è tenuto a darne preventiva comunicazione all'amministrazione, con l'indicazione della diversa fascia oraria di reperibilità

Il lavoratore, al fine di consentire il controllo della malattia da parte dell'amministrazione, è a obbligato a non allontanarsi dal proprio domicilio, salvo giustificato motivo, nelle fasce orarie di reperibilità. Nel caso in cui intervenga un mutamento di domicilio durante il corso della malattia, il lavoratore deve darne tempestivamente comunicazione all'amministrazione, indicando altresì il nuovo domicilio. Ciò in quanto egli deve consentire ed agevolare la verifica della infermità dichiarata, per poter usufruire dei conseguenti benefici che l'ordinamento gli garantisce. A ciò si aggiunga che anche dall'obbligo di correttezza e buona fede discende, in capo al lavoratore, il dovere di tenere un atteggiamento collaborativo durante l'effettuazione della visita ad opera del medico di controllo, risultando inadempiente ai suoi doveri laddove rifiuti di sottopori alla visita, o ne impedisca il regolare svolgimento.

Dalla violazione dell'obbligo di reperibilità discendono diverse conseguenze, sia di ordine economico che disciplinare, che operano distintamente, senza interferenze reciproche.

L'art. 5 comma 15 del d.l. n. 463/1986, convertito con l.n. 638/1983 prevede che in caso di assenza dalla visita di controllo, senza giustificato motivo, il lavoratore decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l'intero periodo sino a dieci giorni, e nella misura della metà per l'ulteriore periodo, esclusi tuttavia i giorni di ricovero ospedaliero o quelli già accertati da precedente visita di controllo. La Corte Costituzionale con sentenza n. 78/1988 ha però ritenuto parzialmente illegittima la disposizione nella parte in cui prevede l'automatica perdita del trattamento economico, senza la previsione di una seconda visita di controllo, volta ad accertare o meno la malattia indicata dal lavoratore. Contestualmente all'applicazione della sanzione economica è possibile avviare un procedimento disciplinare per violazione dell'obbligo contrattuale di reperibilità, volto ad accertare la gravità dell'infrazione.

L'assenza, infatti, rendendo impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia, integra un inadempimento, sia nei confronti dell'istituto previdenziale, sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa e perciò a controllare l'effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione (come ribadito dalla Cassazione con sentenza del 22 aprile 2004, n. 7691).

In caso di assenza del lavoratore al domicilio indicato, il medico incaricato di effettuare la visita di controllo lascia un apposito avviso, per mezzo del quale invita il lavoratore a presentarsi il giorno successivo, all’ora stabilita, per effettuare un controllo presso l’ambulatorio ASL indicato, al fine di certificare l’effettività della malattia e di valutarne la durata (non anche di giustificare l’assenza dal domicilio durante la visita fiscale).

È importante sottolineare che la giurisprudenza qualifica come ”assenza alla visita di controllo” non solo l’assenza ingiustificata dalla abitazione, ma anche tutti i casi in cui il lavoratore, benché ivi presente, per incuria, negligenza o altro motivo giuridicamente non apprezzabile, tenga un comportamento che in concreto impedisca la visita medica di controllo. Ciò in quanto il lavoratore, contestualmente all’obbligo di essere presente al proprio domicilio, è tenuto anche al dovere di cooperare all’effettuazione delle visite domiciliari. In applicazione di questi principi la Cassazione ha escluso che il mancato reperimento del lavoratore potesse essere giustificato dal fatto che egli si tratteneva sul balcone e non aveva percepito il suono del campanello azionato dal medico di controllo (sentenza del 17 aprile 1990, n. 3180). Analogamente, la Suprema Corte ha affermato che l’irreperibilità del lavoratore non potesse essere giustificata dalla sua ipoacusia o dal mancato funzionamento di un citofono, in relazione agli obblighi di diligenza che imponevano di adottare mezzi idonei per superare eventuali difficoltà di ordine pratico che si frapponevano all’incontro con il medico (sentenza del 14 settembre 1993, n. 9523). La Cassazione ha invece ritenuto giustificabile chi non risponde al citofono per lo stato di sonno indotto dalla somministrazione di farmaci (sentenza del 6 marzo 1990, n. 1750).

È possibile che si verifichino circostanze particolari, che non consentano al lavoratore di rispettare l’obbligo di reperibilità cui è tenuto. Si parla al riguardo di giustificati motivi che, prevalendo sull’interesse pubblico al controllo dello stato di malattia, legittimano il lavoratore ad allontanarsi dal proprio domicilio, previa comunicazione all’amministrazione con l’indicazione della diversa fascia oraria di reperibilità. È fatto salvo l’obiettivo e giustificato impedimento ad effettuare tale comunicazione, di cui il lavoratore dovrà in seguito fornire prova.

Affinché la violazione dell’obbligo di reperibilità risulti giustificata, non è sufficiente provare la necessità di allontanarsi, occorrendo altresì dimostrare l’assoluta impossibilità di differire l’allontanamento in un arco temporale compatibile con le fasce di reperibilità.

Il giustificato motivo deve avere carattere oggettivo, non scusando l’erronea convinzione del lavoratore di non dover adempiere, in buona fede, all’obbligo di reperibilità. Inoltre non è necessario, ai fini della sanzionabilità della violazione dell’obbligo di reperibilità, l’intento fraudolento di sottrarsi alla visita di controllo. L’onere della prova dell’esistenza del giustificato motivo incombe sul lavoratore, rappresentando l’unico modo per evitare la perdita del trattamento economico di malattia, comminata in caso di assenza alla visita di controllo. Occorre infatti precisare che la visita ambulatoriale non ha lo scopo di sanare l’assenza dal domicilio, ma solo quello di certificare l’effettività della malattia e di valutarne la durata.

Le disposizioni normative in esame si propongono l’obiettivo di contemperare le esigenze sottese alle circostanze documentate dal lavoratore, con la repressione degli abusi in materia, determinanti importanti conseguenze sull’efficienza dell’amministrazione.

La giurisprudenza interpreta il giustificato motivo di irreperibilità del lavoratore quale clausola elastica, nella cui applicazione assume rilievo determinante la gerarchia dei valori protetti che si contrappongono nelle singole fattispecie concrete esaminate.

Assume così rilievo, non solo lo stato di necessità o di forza maggiore, ma anche ogni situazione che richiede adempimenti non effettuabili in orari diversi da quelli di reperibilità, al fine della tutela di altri interessi meritevoli. Ancora, integra giustificato motivo di assenza ogni situazione che, sebbene non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale del lavoratore, in quanto integrante una seria e valida ragione socialmente apprezzabile. È il caso, ad esempio, dell’esigenza di solidarietà e vicinanza famigliare consistita, in particolare, nell'assistenza alla propria madre, ricoverata in un centro specialistico di riabilitazione e priva di altro sostegno morale in quanto divorziata e senza altri familiari, senz'altro meritevole di tutela nell'ambito dei rapporti etico-sociali garantiti dalla Costituzione (Cass. sentenza 9 marzo 2010 n. 5718). O, ancora, dell’esigenza di recarsi dal proprio medico di fiducia, che riceve solo nelle fasce orarie di reperibilità, per far constatare la eventuale guarigione della malattia, al fine della ripresa dell'attività lavorativa (Cass., sentenza 29 novembre 2002, n. 16996).

Con specifico riguardo alla concomitanza di visite mediche, prestazioni sanitarie, accertamenti specialistici, che ricorrono frequentemente tra le circostanze addotte a giustificazione dell’assenza, la Cassazione richiede la dimostrazione che dovessero obbligatoriamente svolgersi durante l’orario corrispondente alle fasce di reperibilità, che fossero indifferibili e che le modalità di effettuazione fossero le uniche ragionevolmente praticabili. Ne è un esempio l’insorgenza di un forte mal di denti che impone al lavoratore di recarsi presso lo studio dentistico per sottoporsi ad un urgente intervento odontoiatrico (Cass. sentenza 10 dicembre 1998, n. 12458).

La giurisprudenza ha invece escluso dal novero delle cause giustificative dell’assenza tutte le esigenze che potevano essere soddisfatte anche al di fuori delle fasce orarie di reperibilità, o che erano prevedibili, quindi comunicabili.

Un’ipotesi problematica può prospettarsi nel caso del dipendente assente per patologie depressive che, unitamente alla certificazione della prognosi, fornisca una certificazione del medico che dichiara una situazione di incompatibilità della patologia sofferta con l’obbligo del rispetto delle fasce orarie. In tale ipotesi l’amministrazione, dopo una attenta valutazione dei tempi di assenza giornaliera dal domicilio e dei motivi che giustificano tali allentamenti forniti dal lavoratore, può ritenere opportuno chiedere all’ASL di effettuare, eccezionalmente, un controllo ambulatoriale in sostituzione di quello domiciliare.

 

ONERE ECONOMICO DELLA VISITA DI CONTROLLO          (torna all'indice) 
 

Un ultimo profilo attiene l'individuazione del soggetto che deve sostenere l'onere economico della visita medica di controllo.

Occorre premettere che il d.P.C.M. del 29 novembre 2001 individua i livelli essenziali di assistenza (c.d. LEA), intesi quali prestazioni e servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o in compartecipazione. Con specifico riguardo alle attività di medicina legale, tale decreto indica tra le prestazioni essenziali solo le certificazioni sanitarie ai dipendenti pubblici assenti dal servizio per motivi di salute.

In particolare, la questione interpretativa che si è posta è se le visite mediche di controllo siano comprese nelle certificazioni sanitarie ai dipendenti pubblici assenti dal servizio per motivi di salute, dunque inserite nei LEA, oppure se esse rientrino nelle restanti certificazioni, comunque di competenza delle ASL, ma non ricomprese nei LEA, in quanto non rispondenti ai fini di tutela della salute collettiva, con la conseguenza che la loro erogazione comporta oneri economici a carico delle amministrazioni richiedenti.

Sul punto la giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, ha evidenziato che le visite fiscali sono volte a tutelare specifici interessi del datore di lavoro richiedente, non un interesse generale alla salute della collettività. Infatti, il medico si limita ad esprimere un giudizio medico-legale circa la sussistenza di uno stato morboso idoneo a determinare una temporanea incapacità lavorativa. Da ciò consegue che il relativo onere economico deve essere sostenuto dal soggetto richiedente, ossia dal datore di lavoro.

Sulla questione è però intervenuto il legislatore con l'art. 17, comma 23, lettera e), delle decreto legge n. 78 del luglio 2009, convertito con legge n. 102 del 3 agosto 2009, che con l'inserimento dei commi 5-bis e 5-ter nell'art. 71 del d.l n. 112/2008, convertito con l. 133/2008, ha ribadito che gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia, effettuati dalle ASL su richiesta delle pubbliche amministrazioni, rientrano nei compiti istituzionali del Servizio Sanitario Nazionale. Inoltre, ha sancito che i relativi oneri sono a carico delle ASL, e che a decorrere dall'anno 2010, in sede di riparto delle risorse per il finanziamento del SSN, è individuata una quota di finanziamento destinata a tali scopi, ripartita tra le regioni tenendo conto del numero di dipendenti pubblici presenti nei rispettivi territori. Infine il legislatore ha precisato che le ASL locali cureranno tali accertamenti medico-legali  nei limiti delle ordinarie spese disponibili a tale scopo.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 207 del 10 giugno 2010 ha dichiarato l'illegittimità della previsione normativa che attribuisce ai compiti del Servizio Sanitario Nazionale, con onere finanziario a carico delle Regioni, gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia.

La Corte Costituzionale, pronunciandosi sulla questione di legittimità, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, del citato art. 17, comma 23, lettera e), ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui  aggiunge all’art. 71 del d.l. 25 giugno 2008 i commi 5-bis e 5-ter.

La Corte ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale concernente la violazione della competenza legislativa concorrente della Regione in materia di tutela della salute e di organizzazione del Servizio sanitario di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Ciò in quanto le norme impugnate, imponendo la gratuità delle visite fiscali, gravano le ASL del relativo onere e, quindi, il Fondo sanitario regionale. In tal modo  vanificando la scelta organizzativa regionale di richiedere il pagamento delle prestazioni secondo una tariffa determinata.

La Corte ha sancito infatti che, nonostante l’autoqualificazione compiuta dal legislatore statale con il citato art. 74, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009,  la disciplina degli accertamenti medico-legali sui dipendenti pubblici assenti per malattia non è riconducibile alla materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», attribuita dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientrando invece nell’ambito della tutela della salute di cui all’art. 117 comma terzo cost., dunque alla competenza concorrente. Infatti, rileva la Corte, la disciplina degli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti per malattia, anche se viene attivata per soddisfare l’interesse del datore di lavoro volto a controllare e verificare la regolarità e legittimità dell’assenza per malattia del lavoratore, viene altresì a configurare una prestazione di tipo sanitario, consistente in una diagnosi sulla salute del lavoratore, che può anche determinare l’adozione di misure che eccedono la persona del dipendente, qualora l’accertamento evidenzi patologie che presentino rischi di contagio.

La disciplina introdotta con il comma 5-bis del citato art. 71, trattandosi di normativa di dettaglio in materia di «tutela della salute», si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., mentre il comma 5-ter, che vincola una quota delle risorse per il finanziamento del servizio sanitario nazionale, destinandole a sostenere il costo di una prestazione che non può essere qualificata come livello essenziale di assistenza, si pone in contrasto con l’art. 119 Cost., ledendo l’autonomia finanziaria delle Regioni.

Tale sentenza, dichiarando l’illegittimità della norma che sanciva la gratuità dell’accertamento medico delle assenze per malattia dei dipendenti pubblici, avrebbe consentito alle Regioni di chiederne il pagamento al richiedente tale prestazione.

La legge di stabilità 2013  (art. 14 comma 27) prevede il trasferimento diretto dal MIUR alle Regioni del finanziamento per il pagamento delle spese sostenute dalle scuole per il pagamento delle visite fiscali.

 

BREVE CASISTICA GIURISPRUDENZIALE          (torna all'indice)
 

La giurisprudenza si è ripetutamente occupata di quali situazioni integrino il giustificato motivo che legittima il dipendente a trovarsi in un luogo diverso dal proprio domicilio nelle fasce orarie di reperibilità. L'orientamento che si è venuto delineando può essere così sintetizzato:

Impedimenti non giustificabili:

-       l'esigenza di riscossione dello stipendio (Pret. Napoli, 10 dicembre 1984);

-       la partecipazione alla Santa Messa (Pret. Como, 12 novembre 1987);

-       accompagnare al supermercato la consorte sprovvista di patente (Cass. civ., sez. lavoro, 3 agosto 1995, n. 8058).

Con specifico riguardo al dovere di cooperazione del lavoratore all'effettuazione delle visite fiscali, contestuale all'obbligo di essere presente presso il proprio domicilio, risulta non giustificabile:

-       l'essersi recato in cantina o il non aver sentito il campanello in quanto ascoltava la musica con gli auricolari (Cass. 30 luglio 1993, n. 8484);

-       il non aver fornito sufficienti indicazioni per permettere al medico fiscale di reperire il domicilio (Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5054);

-       il trovarsi in una pertinenza dell'abitazione al momento della visita fiscale (Cass. civ., sez. lav., 11 marzo 1996, n. 1956);

-       il non avevr percepito il suono del campanello azionato dal medico di controllo in quanto si tratteneva sul balcone (Cass., sent. 17 aprile 1990, n. 3180);

-       l'ipoacusia o il mancato funzionamento del un citofono, a fronte degli obblighi di diligenza che imponevano di adottare mezzi idonei per superare eventuali difficoltà di ordine pratico che si frapponevano all'incontro con il medico (Cass. sent. 14 settembre 1993 n. 9523);

-       il non essersi informato se il proprio medico si trattenga generalmente anche dopo la fine dell'orario di visita (Cass. civ., sez. lav., 26 febbraio 2001, n. 2624);

-       il non aver potuto tempestivamente aprire la porta per lo stato di malattia, in quanto sul lavoratore incombe l'onere predisporre una situazione tale da consentire il controllo domiciliare, tenuto anche conto del fatto che sul campanello non vi era il nome della donna, ma quella del marito, tanto che il medico aveva suonato tutti i campanelli del condominio senza riuscire a trovarla (Cass., sent. 25 marzo 2002 n. 4233).

Con specifico riguardo agli accertamenti medici, l’esigenza di recarsi dal proprio medico non integra sempre e comunque un giustificato motivo. Infatti non è stato ritenuto tale, in quanto non indifferibile né altrimenti impraticabile:

-       l’essersi rivolti ad un centro fisioterapico che aveva fissato l’orario del trattamento durante la fascia di reperibilità, potendo rivolgersi ad altri centri specializzati della zona, senza che ciò mettesse in discussione la libertà di scelta della struttura medica, posto che lo specifico trattamento non presupponeva uno stretto legame fiduciario tra medico e paziente (Cass., 10 agosto 2004, n. 15446);

-       l’essersi recato dal medico curante per sottoporre al suo esame una radiografia (Cass. civ., sez. lavoro, 7 ottobre 1997, n. 9731);

-       l’essersi recato dal medico per il controllo della pressione arteriosa, in mancanza di prova dell'urgenza e indifferibilità della misurazione e della dimostrazione che le modalità prescelte allo scopo fossero in concreto le sole ragionevolmente praticabili (Cass. civ., sez. lavoro, 2 marzo 2004, n. 4247);

-       l’essersi recato dal medico per la periodica verifica dell’evoluzione della patologia morbosa o per la prescrizione farmacologia (Cass. civ., sez. lav. 12 gennaio 1994, n. 266).

Impedimenti giustificabili:

-       l’essersi allontanato dal proprio domicilio per recarsi a fare visita alla propria madre, priva di altro sostegno morale in quanto divorziata e senza altri familiari, ricoverata in un centro specialistico di riabilitazione a seguito di un delicato intervento di cardiochirurgia (Cass., sent. 9 marzo 2010 n. 5718);

-       la necessità di effettuare una visita medica precedentemente fissata (Cass. civ, 21 luglio 2008, n. 20080);

-       l’assenza dal domicilio dovuta al prolungarsi dei tempi connessi a visita medica specialistica, fissata in ora antecedente alla fascia di reperibilità, che non avevano consentito un tempestivo rientro a casa, ciò in quanto la tutela del diritto alla saluta si realizza anche nella scelta del medico,che non può essere condizionata dal fatto che lo studio medico sia nelle vicinanze dell’abitazione del lavoratore, in modo che possa essere reperibile più agevolmente presso il proprio domicilio nelle fasce orarie di reperibilità (Cass. civ. Sez. lavoro, 23 novembre 2004, n. 22065);

-       la necessità di recarsi alla visita medica in seguito all’anomala evoluzione della malattia, al riacutizzarsi dell’affezione morbosa, all’esigenza di effettuare accertamenti o interventi urgenti o all’incertezza determinata dalla soggettiva preoccupazione circa lo sviluppo della malattia (Cass. 19 marzo 1996, n. 2337);

-       un forte mal di denti che impone di recarsi presso lo studio dentistico per sottoporsi ad un urgente intervento odontoiatrico (Cass. civ. 10 dicembre 1998, n. 12458);

-       recarsi dal proprio medico di fiducia che riceveva solo nelle fasce orarie di reperibilità, al fine di far accertare l’avvenuta guarigione, quindi la necessità o meno di ritorna all'indicere la lavoro (Cass. civ., sez.lav., 29 novembre 2002, n. 16996);

-       essersi recato presso uno stabilimento termale, su indicazione del proprio medico curante, per un ciclo di cure volte ad ottenere una più rapida guarigione (Cass. civ., sez. lav., 22 giugno 2001, n. 8544);

-       il non rispondere alla visita fiscale per lo stato di sonno indotto dalla somministrazione di farmaci (Cass. civ., 6 marzo 1990, n. 1750).

Quanto ad altri aspetti della malattia si riportano alcuni orientamenti della giurisprudenza:

-       Il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia (Cass. 3 marzo 2009 n. 5078).

-       Le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro – in ipotesi di superamento del periodo di comporto – ove l’infermità sia imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro, essendo determinata dall’adibizione dello stesso lavoratore (invalido, nella specie) a mansioni incompatibili con le sue condizioni di salute (Cass. sent. 23 aprile 2004, n. 7730).

-       L’art. 2110 c.c. consente all’autonomia collettiva di modulare la disciplina dell’assenza del lavoratore per malattia. In particolare il CCNL del comparto Scuola distingue l’ipotesi di assenza per malattia comune per la quale si prevede un limitato periodo di tempo di conservazione del posto di lavoro dall’ipotesi di infortunio sul lavoro o dalla malattia dovuta a causa di servizio per i quali il posto di lavoro è conservato fino a completa guarigione clinica (Corte d'Appello di Bologna, sez. Lav., sent. 21 febbraio 2007, n. 681/06).

-       Nel periodo di comporto per malattia vanno computati anche i giorni non lavorativi e le assenze intermedie del lavoratore tra una malattia e quella seguente, dovendosi presumere, in difetto di prova contraria, la continuità dell'episodio morboso (Cass., sez. lav., sent. 18 febbraio 1997, n. 1467).

-       Lo svolgimento da parte del dipendente di altra attività lavorativa durante il periodo di malattia è vietato, integrando un inadempimento degli obblighi ricadenti sul prestatore (particolarmente del dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. e in generale dell’obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza), in tutti i casi in cui evidenzi la simulazione delle infermità ovvero ne ritardi o comprometta la guarigione per inosservanza del dovere di porre in essere tutte le cautele necessarie a un rapido recupero delle energie lavorative. (Cass. 6 ottobre 2005, n. 19414).

-       La malattia del lavoratore e la sua inidoneità al lavoro sono cause di impossibilità della prestazione lavorativa che hanno natura e disciplina giuridica diverse: la prima ha carattere temporaneo, implica la totale impossibilità della prestazione e determina la legittimità del licenziamento quando essa abbia causato l'astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto; la seconda ha carattere permanente, o quanto meno durata indeterminata o indeterminabile, e non implica necessariamente l'impossibilità totale della prestazione. (Cass. 24 gennaio 2005 n. 1373).

-       Per quanto riguarda la diagnosi, i certificati medici costituiscono elementi di convincimento liberamente valutabili. Opera correttamente il giudice che, ai fini della valutazione della credibilità dei certificati del medico curante del lavoratore, pone a confronto il loro contenuto diagnostico con le prognosi ivi formulate, nonché con gli esami diagnostici prescritti od omessi e con le terapie prescritte ed effettivamente praticate dal lavoratore (Cass. 5 maggio 2000, n. 5622).

-       Nel caso di contrasto tra il contenuto del certificato del medico curante e gli accertamenti compiuti dal medico sanitario di controllo, spetta al giudice di merito la valutazione comparativa delle certificazioni contrastanti onde stabilire quale delle due sia maggiormente attendibile (Trib. Parma 14 gennaio 2000).

-       E' scarsamente attendibile un certificato con il quale il medico curante giustifichi un'astensione dal lavoro, a ridosso di due giorni di festa, con la diagnosi di tachicardia e ipertensione, prescrivendo un tranquillamente e non un farmaco ipotensivo. (Corte app. Milano 27 settembre 2007).

-       Rientra nel dovere di diligenza di un dipendente, se si ammala all’estero, accertarsi (anche mediante semplice telefonata) che il datore di lavoro sia venuto a conoscenza dello stato di malattia e dell’indirizzo dove eventualmente disporre l’effettuazione della visita fiscale (Cass. 9 ottobre 1998).

-       In tema di assenza dal lavoro per malattia e di conseguente decadenza del lavoratore dal diritto al relativo trattamento economico per l'intero periodo dei primi dieci giorni di assenza per ingiustificata sottrazione alla visita di controllo domiciliare, ai sensi dell'art. 5, comma quattordicesimo, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463 convertito in L. 11 novembre 1983, n. 638 (norma dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 78 del 1988), l'effettuazione da parte del lavoratore di una successiva visita ambulatoriale confermativa dello stato di malattia, ancorché avvenuta prima della scadenza di tale periodo, non vale a escludere la perdita del diritto al trattamento economico ma ha la sola funzione di impedire la protrazione degli effetti della sanzione della decadenza per il periodo successivo ai suddetti primi dieci giorni, atteso che l'osservanza dell'onere posto a carico del lavoratore di rendersi reperibile presso la propria abitazione non ammette forme equivalenti di controllo; ne consegue che l'impossibilità per il lavoratore di effettuare tale visita (nella specie il giorno successivo a quello della sottrazione alla visita di controllo), a causa della chiusura dell'ambulatorio della ASL, non impedisce la perdita del trattamento economico derivante dal mancato assolvimento di quell'onere. (Cass. 28 gennaio 2008, n. 1809).

-       La visita ambulatoriale non ha lo scopo di sanare l’assenza dal domicilio, ma solo quello di certificare l’effettività della malattia e di valutarne la durata. (Cass. 14 settembre 1993).

 

SITOGRAFIA          (torna all'indice) 

 

- Albani G. Malattia (certificazioni e visite medico-fiscali nel pubblico impiego).
Illustrazione degli specifici adempimenti cui sono tenuti i dipendenti pubblici in caso di malattia.

- De Gobbi R. - Il certificato medico
Natura giuridica della certificazione, requisiti formali, reati connessi alla certificazione.

- Marani S. - Certificato medico telematico nel pubblico impiego? Ora è possibile.
Introduzione del certificato medico telematico nel pubblico impiego ed adempimenti del lavoratore.

- Marani S. - Certificati di malattia Inps: le istruzioni operative per l'invio telematico.
Illustrazione della procedura da seguire per l'invio telematico del certificato.

- Nitti N. - Accertamenti medico-legali ai dipendenti pubblici assenti per malattia: onere finanziario non ricade sulle regioni (Corte costituzionale, 28 aprile-10 giugno 2010, n. 207).
L'onere economico della visita medica di controllo e la pronuncia della Corte Costituzionale in materia.