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LE BOCCIATURE SERVONO DAVVERO? IL LORO COSTO SI AGGIRA INTORNO AL MILIARDO DI EURO ALL'ANNO - COSA NE PENSATE? RISPONDETE AL SONDAGGIO
Postato Martedì, 30 Settembre 2014, ore 11:56:57 da Amministratore

SCUOLA E UNIVERSITÀ


LE BOCCIATURE SERVONO DAVVERO?

Di seguito due articoli tratti da Repubblica.it del 29 settembre 2014 e da Italia Oggi del 30 settembre 2014.

E voi cosa ne pensate? Rispondete al sondaggio. ...








Salvo Intravaia

La bocciatura, a scuola, non serve a niente. E nel nostro Paese si boccia un po' troppo. A sostenerlo è l'Ocse che ha recentemente pubblicato un approfondimento sui test Pisa  -  acronimo di Programme for International Student Assessment (Programma per la valutazione internazionale dell'allievo)  -  svolti nel 2012: il test internazionale che saggia le competenze dei quindicenni in Lettura, Matematica e Scienze. Il titolo del focus numero 43 è emblematico: "Gli studenti svantaggiati hanno più probabilità di ripetere l'anno?". La risposta sembra essere affermativa.

E questo aspetto induce gli esperti dell'Ocse  -  l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico  -  a sostenere che non è la sola preparazione e determinare l'insuccesso scolastico. E che sarebbe meglio, anziché bocciare, dedicare più attenzione agli studenti fragili. Nei paesi Ocse, il numero degli quindicenni che ha riferito di avere ripetuto l'anno almeno una volta prima dei quindici anni è pari al 12,4 per cento: uno su otto. Percentuale che sale al 20 per cento tra i meno abbienti. "Anche tra studenti con rendimento scolastico simile, la probabilità di ripetere un anno è una volta e mezzo superiore per gli studenti svantaggiati", spiegano da Parigi.

E in Italia? Nel Belpaese, gli alunni con una bocciatura sul groppone, rimediata alla media, nei primi anni delle scuole superiori o addirittura all'elementare, sono più di 17 su cento. Un dato che è in crescita di due punti rispetto a dieci anni prima. E tra i meno fortunati, provenienti da contesti socio-economici e culturali deprivati, il tasso di ripetenze sale al 26 per cento. In Giappone, Malesia e Norvegia, gli studenti intervistati non hanno riferito bocciature. In 24 paesi Ocse le bocciature si mantengono al di sotto del 5 per cento. Ma in alcuni paesi  -  come Francia, Germania, Portogallo e Spagna  -  il tasso di ripetenze schizza su valori superiori al 20 per cento raggiungendo e superano anche il 30 per cento.

Ma gli esperti Ocse non hanno dubbi: "Molti paesi  -  spiegano  -  stanno trovando altri modi di aiutare gli studenti in difficoltà". Perché "la bocciatura, in pratica, non ha evidenti benefici indicati per gli studenti o per i sistemi scolastici nel suo complesso". "La bocciatura è un modo costoso di affrontare il problema degli insuccessi: fermando gli alunni la probabilità che abbandonino gli studi sale". "Alcuni paesi che avevano usato la bocciatura in modo massiccio hanno rivisto tale politica a favore di un maggiore sostegno intensivo e precoce nei confronti degli studenti in difficoltà".

In altre parole, "la ripetizione dell'anno non offre alcun evidente beneficio per le prestazioni complessive di un sistema scolastico perché, come i risultati del Pisa mostrano, gli alunni appartenenti ad un contesto socio-economico svantaggiato hanno più probabilità di ripetere l'anno. E la bocciatura può anche rafforzare le disuguaglianze nel sistema". Che fare, allora? Occorre "offrire ore di insegnamento supplementare agli studenti che rischiano la bocciatura, adattando l'insegnamento alle loro esigenze in modo che possano recuperare il ritardo con i loro coetanei. Un modo di gran lunga migliore di sostenere gli studenti con difficoltà di apprendimento o problemi comportamentali".




Giovanni Scancarello

Un miliardo. A tanto ammonta il risparmio che potrebbe essere subito investito sulla scuola, abolendo le ripetenze. In disarmo quasi dappertutto, i dati Miur evidenziano la tendenza degli ultimi anni alla diminuzione delle non ammissioni alle classi successive e all'aumento degli ammessi agli esami di Stato. All'estero non si contano quasi più i Paesi che non vi ricorrono, se non in casi eccezionali, ed è significativo come anche in Francia, Paese che ha fatto della ripetenza una bandiera, si stia tendando di abolirla. Quest'estate ha fatto discutere la proposta di decreto del Consiglio superiore dell'educazione francese che prevedrebbe che la ripetenza non possa essere disposta se non con il consenso delle famiglie, oltre che per il superamento del monte ore massimo di assenza. A Parigi calcolano che con la fine delle bocciature si risparmierebbero circa 2 mld di euro all'anno. Sulla questione è già intervenuto lo Snalc-Fgaf, uno dei principali sindacati dei docenti francesi, che contesta l'illegittimità della proposta ritenuta invasiva dei poteri del consiglio di classe, anche se non la pensano allo stesso modo altri sindacati, come Sgen Cfdt. Najat Vallaud-Belkacem, ministro dell'educazione francese, è tornata anche in questi giorni a sostenere la proposta di abolizione. Se non sarà facile che passi subito, di sicuro c'è che la rottamazione della redoublement in Francia è già iniziata. La bocciatura, che nel confronto internazionale, studiato soprattutto dall'Ocse, è correlata statisticamente con i Paesi con tassi di equità educativa più bassi e con le performance di apprendimento peggiori, rischia di rappresentare un costo economico ed umano non più sostenibile di questi tempi.

Della sua inefficacia pedagogica si sa già da tempo. Se ne sono occupati tra gli altri Holmes e Matthews (1984), Jimerson (2001), Roderick e Nagaoka (2005). Secondo uno studio dello statunitense National Center for Education Statistics (2006) gli studenti respinti rischiano 5 volte di più degli studenti promossi di finire nel girone dei drop out. Dato confermato anche da Jacob e Lefgren nel 2007. In Finlandia, ad esempio, premiare il merito non significa accontentarsi di sanzionare chi non studia, mentre la deterrenza educativa rappresentata dalla ripetenza è stata tradotta in positivo attraverso la didattica modulare, per cui uno studente non rischia di finire fuori corso di un anno, ma, se carente, ripete il modulo che ha durata più limitata, circa sette settimane. Nei Paesi Ocse il numero di studenti che ha ripetuto una classe è diminuito, specie nei Paesi che finora hanno registrato livelli molto alti di ripetenti. Per esempio, nel 2003, la Francia registrava un'incidenza della bocciatura del 39%, diminuito tra il 2003 e il 2012 al 28%. In Italia il 17% degli studenti quindicenni ha ripetuto almeno un anno scolastico, rispetto a una media Ocse del 12%. Tra il 2003 e il 2012, la percentuale di studenti che ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico è aumentata di 2 punti percentuali, anche se negli ultimi due anni abbiamo invertito la tendenza. Anche se di poco. Da noi il costo delle bocciature rappresenta il 6,7% della spesa annua nazionale per l'istruzione primaria e secondaria. Secondo il rapporto scuola in cifre 2009 – 2010 del Miur, un anno di ripetenza costa l'8,4% in più nella scuola media, il 7,2% ai professonali.

Secondo l'Istat la ripetenza si concentra soprattutto tra prima e seconda superiore (19,1% del totale degli studenti). Se proviamo a fare un conto incrociando dati Miur, Istat e Ocse, considerato che i giovani che ripetono l'anno nelle scuole secondarie di secondo grado sono mediamente il 6,3% degli iscritti (di cui il 7,9% sono maschi, il 4,5% femmine – fonte: Annuario Istat 2013), considerata una popolazione scolastica di 1.787.467 unità (a.s. 2010/11), che la media è di 20,9 alunni per classe, azzerando le ripetenze si genererebbe un risparmio di 5.388 classi all'anno. Se poi si calcola che secondo i dati Ocse il costo di un alunno delle secondarie è di circa 8.500 dollari l'anno, si potrebbe risparmiare qualcosa come 957.188.578,50 dollari all'anno. Siamo comunque nell'ordine di potenziali risparmi a nove zeri, tanto che nel 2007 fu calcolato dal Miur che la sola riduzione del 10% delle ripetenze nel primo biennio delle superiori avrebbe prodotto un risparmio intorno ai 56 milioni di euro all'anno. Da allora sono già passati sette anni, ma siamo ancora qui a contare i caduti. I soldi per salvarli potrebbero arrivare proprio dalla fine delle ripetenze. Per altro l'Istat fa presente che siamo di fronte ad un periodo caratterizzato da calo demografico delle femmine e aumento dei maschi, «il cui numero di iscritti, avverte, viene incrementato annualmente da ripetenze più frequenti rispetto a quelle che si registrano tra le studentesse». C'è da chiedersi, dunque, per quanto tempo ancora potrà tenersi in piedi questo stato di cose, soprattutto se pensiamo ai benchmark di Europa 2020 e ai traguardi del successo formativo e della riduzione della dispersione che, per l'Italia, sembrano sempre più lontani.


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