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TAVOLA ROTONDA ''UN PATTO DELLA SCUOLA'' - INTERVENTO DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CONFSAL MARCO PAOLO NIGI
Data: Giovedì, 29 Novembre 2012, ore 22:21:29
Argomento: EVENTI


Tavola rotonda
Nel corso del suo intervento nella tavola rotonda "Un patto della scuola", promossa dall’UDC, il Segretario Generale Marco Paolo Nigi ha definito "gravi ed offensive" le parole pronunciate dal premier Mario Monti sulla questione dell’aumento dell’orario di insegnamento inserito nel disegno di legge di stabilità, bloccato in Parlamento.
"… evidenzia una visione riduttiva della complessità della scuola e un’errata concezione del profilo e del carico orario e lavorativo dei docenti, comprensivo di tutti quegli oneri e attività che solo strumentalmente si vogliono ignorare. Per questo sono ancora più gravi ed offensive le parole pronunciate dal professor Monti, che ha dimostrato anche di non conoscere l’esatta entità della proposta del suo Governo.
Erano sei le ore che si pretendeva di aumentare nell’orario di insegnamento settimanale, e non due, a parità di stipendio – di fatto diminuendo le già basse retribuzioni dei docenti italiani - ed erano tutte da destinarsi alle supplenze e alla copertura degli spezzoni di cattedra. Altro che più didattica e cultura come il premier ha affermato." (vedi anche nostro precedente articolo)

Riportiamo il testo dell’intervento del Segretario Generale:...


Tavola rotonda
Un patto per la scuola
Roma, 28 novembre 2012

Intervento del Segretario Generale Snals-Confsal
Marco Paolo Nigi


 
Un patto per la scuola, dovrebbe essere veramente programma e metodo, per tutti coloro che ricoprono ruoli di responsabilità politica o che rappresentano istanze diffuse e organizzate. In questi ultimi anni proprio questo è mancato, e la scuola è stata uno dei tanti terreni di contrapposizione politica ed ideologia, di fatto bloccandola e aggravandone i mali che vengono da lontano.

Le conseguenze si vedono in termini di mancate politiche di sviluppo dell’istruzione del nostro Paese, in continue misure di tagli e risparmi, in un indebolimento delle posizioni complessive dei risultati del nostro sistema scolastico. E questo, sotto il profilo politico, è avvenuto con il ricorso a misure che sono state assunte senza soluzione di continuità dai Governi in carica.

Un patto per la scuola, per uscire da ogni retorica, deve fondarsi su un progetto per i giovani e su un nuovo patto per il Paese. Significa avere nuove idee per la nostra nazione e rimuovere i macigni che rubano futuro: quello del debito pubblico, dell’evasione ed elusione fiscale, quello del peso della tassazione che grava su cittadini, famiglie e imprese. Quello, gravissimo, della  corruzione e degli sprechi che non solo sottrae risorse pubbliche, ma che mina nelle coscienze dei giovani ogni orientamento alla fiducia nelle istituzioni, nell’impegno, nel merito e anche nel bene comune.

Occorre una svolta nella società italiana, con più equità e solidarietà.

Cambiare il Paese significa avere una nuova cultura del lavoro, un nuovo modello industriale che abbassi il mismatch italiano tra domanda e offerta, con più quantità e qualità di sapere. Sarà proprio su questo terreno che si giocano la competitività dell’economia e lo sviluppo, da creare con l’innovazione e la ricerca.

Solo se si mettono in moto tutti questi processi possiamo dare concretezza a un cammino che ci farà uscire dalla crisi.

Ma serve, come dicevo, una svolta, soprattutto nelle politiche della scuola. Occorre mettere fine alla stagione dei tagli lineari. Ma non basta.

E’ necessaria una nuova politica del personale, la risorsa che, se valorizzata, rende possibili il cambiamento e l’ammodernamento del Paese. Una svolta che governi politici e tecnici non sono riusciti a imprimere.

Occorre ripristinare corretti comportamenti istituzionali e il rispetto degli impegni contrattuali.

La vicenda della legge di stabilità, con il tentativo di intervenire sull’orario di servizio dei docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado - bloccato responsabilmente in Parlamento - mette in luce molti aspetti.

Il primo è sicuramente quello che evidenzia una visione riduttiva della complessità della scuola e un’errata concezione del profilo e del carico orario e lavorativo dei docenti, comprensivo di tutti quegli oneri e attività che solo strumentalmente si vogliono ignorare.
Per questo sono ancora più gravi ed offensive le parole pronunciate dal professor Monti, che ha dimostrato anche di non conoscere l’esatta entità della proposta del suo Governo.

Erano sei le ore che si pretendeva di aumentare nell’orario di insegnamento settimanale, e non due, a parità di stipendio – di fatto diminuendo le già basse retribuzioni dei docenti italiani - ed erano tutte da destinarsi alle supplenze e alla copertura degli spezzoni di cattedra. Altro che più “didattica e cultura” come il premier ha affermato.

Il secondo aspetto è quello giuridico, e anche su questo si continua a fare confusione e inutili speculazioni. Occorre fare, allora, una definitiva chiarezza sull’ibrido sistema privatistico-pubblicistico, che riguarda tutto il lavoro pubblico, ma che ha molti effetti negativi per quanto riguarda il personale della scuola.

La questione non è quella di contratti separati per docenti e per il personale Ata, che non risolve né il problema della definizione dei profili professionali né quello delle retribuzioni - peraltro già distinti e separati nel contratto collettivo - quanto piuttosto quello di definire le aree di intervento della legge e quelle della contrattazione.

Negli ultimi anni è stato un susseguirsi di tentativi di incursioni nelle materie contrattuali, che non hanno portato a nulla se non a un aumento di conflittualità e di disagio per la categoria, che vede restringersi spazi di partecipazione nella definizione dell’organizzazione e delle condizioni del proprio lavoro.

L’inerzia della politica ha ancora di più aggravato la situazione, lo vediamo anche nel disegno di legge sugli organi di governo della scuola statale.

Doveva essere un’occasione per valorizzare l’autonomia della scuola e quella professionale del personale, il ruolo sociale e tecnico-scientifico dei docenti. Ma così non è.

C’è ancora troppa confusione sul modello di governance del Paese che ricade anche su quella del governo delle singole istituzioni scolastiche, influenza politiche e modelli di gestione.

Non sono state assunte decisioni in merito a sviluppo professionale e valorizzazione dei docenti. Anche nella proposta di legge sullo stato giuridico dei docenti si intravvedeva un altro tentativo di gerarchizzazione dei docenti, senza peraltro indicare con quali risorse compensare ipotetiche carriere.

Lo Snals-Confsal ha contrastato questo disegno, come si è opposto all’ipotesi di individuare e premiare pochi docenti all’interno di ogni scuola, con farraginosi strumenti e con il discutibile criterio della “reputazione”, sganciato da qualsiasi considerazione dell’esperienza maturata negli anni di insegnamento e nell’impegno didattico.

E’ chiaro che più autonomia richiede rendicontazione sociale e valutazione.

Ma c’è bisogno di una valutazione centrata non tanto sui singoli docenti, quanto sull’intera scuola, per sostenerla nella promozione della qualità e dell’efficacia formativa, considerando anche le caratteristiche dell’utenza e del contesto territoriale.

Al momento, è stata approvata la bozza di un nuovo regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione – sulla quale sono chiamate ad esprimersi le Commissioni di merito di Camera e Senato - che ci preoccupa, in primo luogo perché tutti gli organismi e le attività non devono comportare oneri aggiuntivi.

Anche in questo caso, innovazioni a costo zero.

Mentre c’è un urgente bisogno che le istituzioni scolastiche siano liberate dall’eccessivo carico burocratico, siano dotate di strumenti tecnologici, di risorse finanziarie maggiori e certe.

Ma le scuole e il personale hanno anche bisogno di una nuova cultura collettiva che serve anche per metterle al riparo da contenziosi da parte di famiglie che, mentre delegano ai docenti anche i carichi educativi di loro competenza, poi però si rivoltano contro la scuola quando assume in pieno il carattere di serietà e pretende impegno e rispetto.

Alle spalle abbiamo una settimana difficile, che solo di fronte alla volontà della scuola di manifestare tutto il proprio disagio - di fronte a impegni assunti dal Governo e tardivamente assolti - si è conclusa con l’apertura verso una soluzione positiva sul riconoscimento dei diritti contrattuali e delle anzianità.

Tra l’altro, utilizzando risorse frutto di sacrifici pesantissimi sopportati dai docenti e dal personale Ata, prima con i tagli agli organici e poi con la riorganizzazione della rete scolastica, con la creazione generalizzata degli istituti comprensivi e di ingestibili mega-istituzioni scolastiche, che hanno aggravato le loro condizioni di lavoro.

Ma ben diversa deve essere anche la qualità degli atti di amministrazione che non dovrebbero essere toccati da errori e sciatterie. Purtroppo nell’ultimo periodo sono stati numerosi gli esempi, come nel caso dei concorsi a dirigenti tecnici e a dirigenti scolastici, nell’attuazione ancora incompleta del piano triennale delle assunzioni, nella gestione dei docenti inidonei, nelle prove preselettive per l’accesso al Tirocinio Formativo Attivo e nel concorso per i docenti.

Solo per citare solo alcune procedure che avrebbero richiesto attenzione, trasparenza e correttezza.

Non si è neanche avviato un serio confronto su quanto previsto dall’articolo 50 del decreto sulle semplificazioni, convertito nella legge 35 già dall’aprile scorso, che doveva aprire la prospettiva all’organico funzionale di scuola e di rete, su base triennale.

Una misura indispensabile per dare stabilità agli organici, per potenziare l’autonomia della scuola, per valorizzare la responsabilità e la professionalità dei docenti e per ridurre il precariato.

Invece di tutto questo, sembra che ci sia la prospettiva di una riduzione di un anno del percorso scolastico.

Una riflessione seria sull’esigenza di un allineamento tra il nostro sistema scolastico con quello di alcuni dei principali paesi europei - che fanno terminare l’istruzione a 18 anni – non deve nascere con il fondato sospetto di un altro intervento per risparmiare sull’istruzione.

Deve essere occasione perché l’intera collettività nazionale si ponga obiettivi per migliorare la qualità del sistema scolastico, il suo funzionamento e la sua efficacia formativa, a cominciare dalle misure per combattere l’abbandono scolastico.

Priorità che non appartengono solo alla scuola, ma alla società intera, perché sono il degrado sociale, la povertà, la mancanza di vere alternative formative e di prospettive occupazionali ad allontanare i giovani dalla scuola e dalla formazione.

Questi sono i veri fatti che ci distanziano dall’Europa. La scuola attende anche su questo un serio impegno dal nuovo Parlamento e dal nuovo Governo.

Invece gli insegnanti continuano ad essere mortificati in ogni campo, compreso quello dell’aggiornamento e della formazione in servizio. La questione della professionalità dei docenti è senz’altro una delle priorità da affrontare.

Ma non è più accettabile la retorica verso la scuola e i docenti. Ripeto, servono politiche nuove, serve ribadire il concetto della serietà della scuola e misure per il riconoscimento sociale dei docenti, anche sul versante delle retribuzioni.

Il confronto per un patto della scuola deve avvenire, dunque, sull’idea di Paese che vogliamo costruire e su quale scuola può sostenere questo necessario cambiamento.

Ma serve l’analisi su fatti concreti e l’individuazione di misure altrettanto concrete.

Noi chiediamo, dunque, a tutti i partiti l’impegno a mettere nei loro programmi elettorali precise indicazioni - e non solo generici richiami - su come hanno intenzione di realizzare e finanziare la scuola e l’istruzione e su quale impulso daranno alle politiche del personale.

Ci attendiamo dal nuovo Governo il coraggio di un vero ripensamento sulla scuola, di aprire prospettive nuove, di superare il blocco dei contratti e di misurarsi con le nuove sfide nazionali ed europee.






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